Pubblicati da Nicolò Shargool

Lo sfruttamento commerciale delle opere di pubblico dominio e il codice dei beni culturali: il caso Ravensburger.

Il tema dell’utilizzo commerciale di opere d’arte di pubblico dominio è stato al centro di una recente controversia legale tra le Gallerie dell’Accademia di Venezia e le aziende tedesche Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GMBH e la loro sede italiana, rappresentata da Ravensburger S.r.l. La questione riguardava l’utilizzo dell’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, un’opera di pubblico dominio conservata presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia, per produrre e vendere puzzle senza autorizzazione o pagamento di un corrispettivo.

L’ordinanza emanata dal tribunale di primo grado di Venezia, che ha vietato ai convenuti di utilizzare l’immagine dell’opera a fini commerciali e li ha condannati al pagamento di una penale di 1.500 euro al giorno in caso di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza cautelare, ha suscitato molte perplessità e domande sull’applicazione del concetto di pubblico dominio e sulla compatibilità delle leggi italiane con quelle europee in materia di diritto d’autore.

In primo luogo, è importante chiarire il significato di pubblico dominio. Si tratta di un insieme di opere artistiche, letterarie, scientifiche e tecnologiche che non sono più soggette alla protezione del diritto d’autore, in quanto il periodo di tutela previsto dalla legge è scaduto o perché l’autore ha scelto di non tutelarle. Le opere di pubblico dominio, almeno astrattamente, possono essere utilizzate liberamente da chiunque, senza bisogno di richiedere autorizzazioni o pagare corrispettivi. 

Difatti, l’art. 14 della Direttiva (UE) 2019/790 dispone che: “Gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi.”

Tuttavia, il caso del puzzle della Ravensburger raffigurante l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci dimostra che l’applicazione pratica del concetto di pubblico dominio può essere più complessa di quanto si pensi. Soprattutto qualora vi siano norme nazionali in aperto contrasto con i principi Comunitari. 

Infatti, in quella che sembrerebbe essere una norma in netto contrasto con il principio su esposto, secondo il Codice dei Beni Culturali Italiano, le riproduzioni digitali fedeli di opere del patrimonio culturale – comprese quelle di pubblico dominio – possono essere utilizzate a fini commerciali solo dietro autorizzazione e pagamento di un corrispettivo. 

Ciò significa che le istituzioni culturali che custodiscono opere di pubblico dominio hanno il diritto di richiedere autorizzazioni e corrispettivi per l’utilizzo commerciale delle riproduzioni digitali fedeli delle opere, anche se queste non sono più gravate da diritto d’autore. Pertanto, la decisione di richiedere l’autorizzazione e il pagamento di un compenso è lasciata alla discrezione di ciascuna istituzione culturale, come previsto dagli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali. 

Preme da ultimo sottolineare come il caso in esame non sia un evento isolato, è infatti di solo pochi mesi fa il caso del Museo degli Uffizi che ha fatto partire un’azione legale contro una nota casa di moda francese per illecita riproduzione dell’immagine della Venere di Botticelli.

In conclusione, occorre rilevare come questi casi siano destinati a lasciare dietro di sé numerose questioni etiche oltre che giuridiche come la grande incertezza sull’uso del patrimonio culturale nell’intero mercato unico, il rischio di ostacolare la creatività degli artisti, e un dominio pubblico ridotto e impoverito. Per affrontare questi problemi, ci si augura che la Corte di giustizia europea abbia presto l’opportunità di chiarire che il pubblico dominio non può essere limitato, specialmente, da norme estranee al diritto d’autore e ai diritti connessi, che compromettono il chiaro intento del legislatore europeo di sostenere il pubblico dominio.

Terms & conditions may Appl-AI

Breve guida ai diritti IP per chi usa i tool di intelligenza artificiale generativa

Se dovessimo concentrare l’ultimissimo trend del mondo tech (e non solo) in un solo concetto, probabilmente questo sarebbe “Intelligenza artificiale”, o meglio, “intelligenza artificiale generativa”.

Nello specifico, l’IA generativa è una definizione ampia che viene utilizzata per descrivere qualsiasi tipo di intelligenza artificiale che utilizza algoritmi di apprendimento non supervisionati per creare nuove immagini digitali, video, audio, testo o codice. Ne sono un esempio tool come Dall-E o ChatGPT, ormai di uso comune, che a partire da istruzioni verbali (input) possono generare immagini, testi, stringhe di codice o video (output).

A dimostrazione del potenziale utilizzo di massa di questi strumenti abbiamo visto come negli ultimi mesi i feed dei social network si siano riempiti da una moltitudine di illustrazioni realizzate con Midjourney o Stable Siffusion, e più recentemente di screenshot catturati da conversazioni con ChatGPT.

Mentre in molti si interrogano sulle questioni etiche e morali relative all’utilizzo di tali strumenti, in pochi danno altrettanta importanza ai diritti di copyright e più in generale di proprietà intellettuale che questi strumenti garantiscono sui contenuti da essi generati. Nel prosieguo abbiamo cercato di analizzare brevemente le licenze di alcuni di questi strumenti per capire quali sono gli utilizzi consentiti.

Stable diffusion

Stable Diffusion è un modello di apprendimento automatico profondo pubblicato nel 2022, utilizzato principalmente per generare immagini dettagliate a partire da descrizioni di testo.

In questo caso, l’art. 6 della Licenza si limita a dire che “il Licenziante, non rivendica alcun diritto sull’Output generato dall’utente utilizzando il Modello. L’utente è responsabile dell’output generato e dei suoi successivi utilizzi.” All’utente è dunque riconosciuta la disponibilità del contenuto generato. Vi sono tuttavia alcune eccezioni. Infatti, al periodo successivo, la licenza statuisce che “nessun uso dell’output può contravvenire alle disposizioni della Licenza (Allegato A)” rimandando ad un elenco di utilizzi illeciti dell’Output poiché potenzialmente dannosi nei confronti di terzi.

OpenAI – Dall-E 2; ChatGPT-3

Questi due modelli sviluppati dalla Startup OpenAI probabilmente non hanno bisogno di presentazioni. ChatGPT è un modello conversazionale in grado di intrattenere conversazioni complesse, fornire informazioni e scrivere testi utilizzando il linguaggio naturale; Dall-E è un strumento di intelligenza artificiale capace di generare immagini a partire da descrizioni testuali.

I contenuti creati tramite questi due popolari strumenti sono soggetti alla stessa licenza, rilasciata da OpenAI.

Sulla base della licenza “l’Utente è proprietario di tutti gli Input e, subordinatamente al rispetto da parte dell’Utente delle presenti Condizioni, OpenAI cede all’Utente tutti i propri diritti, titoli e interessi relativi agli Output.” Anche qui, dunque, tuttavia troviamo alcune eccezioni all’esclusività di tale licenza, infatti OpenAI si riserva, in maniera molto generica, il diritto di “utilizzare i Contenuti come necessario per fornire e mantenere i Servizi, rispettare la legge applicabile e applicare le nostre politiche. L’utente è responsabile dei Contenuti, anche per quanto riguarda la garanzia che non violino alcuna legge applicabile o i presenti Termini”.

Midjourney

Altro, popolare, strumento di intelligenza artificiale capace di generare immagini a partire da descrizioni testuali. Attualmente è disponibile in versione beta su Discord.

In base alla licenza “l’Utente è proprietario di tutte le Risorse create con i Servizi.” Vi è tuttavia un’eccezione di assoluta importanza di cui occorre necessariamente tenere conto.

Nello specifico, i termini di servizi prevedono che, nei casi in cui l’utente non sia un utente a pagamento, gli sia conferita una Licenza Internazionale Creative Commons Non Commerciale 4.0 Attribuzione sugli Output finali. Pertanto i contenuti potranno essere utilizzati solo allorché soddisfino i seguenti requisiti:

  1. venga menzionata la paternità dell’opera, venga fornito un link alla licenza e venga indicato se sono state effettuate delle modifiche;
  2. l’utilizzo non può essere di tipo commerciale.

Concludiamo questa breve e certamente non esaustiva panoramica sulle licenze dei contenuti generati dall’AI con un monito  di Chatgpt-3 sull’importanza di leggere i termini e condizioni di questi strumenti.

È importante leggere i termini e le condizioni degli strumenti di IA generativa, perché delineano i diritti e le responsabilità dell’utente e del fornitore. Tra queste figurano informazioni sull’utilizzo dei dati, sulla proprietà intellettuale e sulle limitazioni di responsabilità. La mancata comprensione e il mancato rispetto dei termini e delle condizioni possono comportare problemi legali o etici. Inoltre, la comprensione dei termini e delle condizioni può aiutare l’utente a prendere decisioni informate sull’uso appropriato dello strumento” (cit. ChatGPT-3).

NFT e Proprietà intellettuale: una relazione di alti alti e bassi

L’avvento della tecnologia blockchain e con essa la possibilità di creare oggetti digitali “unici”, come gli NFT, ha sollevato molte questioni legali, tra queste spiccano sicuramente quelle riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, in particolare il diritto d’autore.

Cosa è un NFT?

In primo luogo, e prima di proseguire con l’articolo, vale la pena soffermarsi sulla nozione di NFT. Non tutti sanno che NFT è l’acronimo di “Non-Fungible Tokens, dove non-fungibile sta a significare non intercambiabile, cioè un bene che è considerato nella sua identità e perciò non è sostituibile con un altro bene. Facciamo un esempio: un euro, che è un bene fungibile, equivale ad un altro euro; un Banksy invece, pur essendo un’opera d’arte contemporanea, non equivale ad un Basquiat.

Dunque, gli NFT trasformano le opere d’arte digitali e altri oggetti da collezione in beni unici, identificabili e verificabili nella loro identità. In questo modo gli NFT possono rappresentare anche oggetti del mondo reale come dipinti, brani, vestiti, borse ecc. Possono essere creati (rectius “mintati”) sulla base di qualsiasi opera e vengono comprati e venduti online, spesso attraverso l’utilizzo di criptovalute.

Di conseguenza, gli NFT vengono utilizzati per creare scarsità digitale verificabile, proprietà digitale e/o possibilità di interoperabilità delle risorse su più piattaforme, fungendo da “certificato di proprietà”. Questo certificato conferisce, dunque, un valore economico e un’attrattiva al supporto digitale di un’opera, grazie al suo carattere unico e non replicabile.

Proprietà intellettuale e NFT: rischi e opportunità

I vantaggi che gli NFT portano con sé sono molteplici, come si è detto poc’anzi, offrono l‘opportunità di conferire alle opere d’arte digitali unicità, incrementandone quindi il valore. In secondo luogo, l’utilizzo combinato di smart contract ed NFT permette di automatizzare il processo di gestione delle royalties, garantendo e tutelando i titolari dei diritti di proprietà intellettuale.

Un altro vantaggio derivante dall’uso della tecnologia Blockchain, che vale non solo per il settore dell’arte, ma per qualsiasi campo che coinvolga la proprietà intellettuale, è che la titolarità dei diritti, così come le licenze, sono trasparenti e accessibili a tutti gli utenti della blockchain. In questo modo si facilita l’accesso alla cronologia dei trasferimenti della proprietà e si può rendere più efficiente il lavoro delle società di gestione collettiva.

Premessi i vantaggi preme comunque fare alcune considerazioni sui rischi e sulle zone d’ombra derivanti dalle violazioni che gli NFT possono comportare nei confronti dei titolari di diritti d’autore e di proprietà intellettuale.

Con il sempre crescente numero di NFT mintati, c’è il rischio di altrettante violazioni dei diritti, che possono riguardare sia i diritti morali dell’artista che i diritti di sfruttamento economico del titolare. A tal proposito, occorre sottolineare come i “falsi” siano diventati un problema crescente sui marketplace di NFT.

Sebbene nuovi strumenti stiano cercando di cambiare la situazione, ad esempio utilizzando l’intelligenza artificiale per individuare le violazioni della proprietà intellettuale, gli NFT “contraffatti” o “non autorizzati”, che nella maggior parte dei casi costituiscono una violazione del copyright rappresentano sicuramente un grave problema.

Inoltre, per quanto riguarda l’applicazione della legge, la natura decentralizzata della DLT solleva questioni relative alla legge applicabile, alla giurisdizione e alle autorità competenti. A questo va aggiunto che, da un punto di vista pratico, l’applicazione è difficile nei casi in cui l’identità del trasgressore è sconosciuta.

Per questo motivo è sempre buona prassi monitorare costantemente i marketplace di NFT (tra i più importanti: OpenSea e Nifty) al fine di contrastare attività che possano danneggiare i diritti di proprietà intellettuale.

La tutela del brand tramite la registrazione del marchio: un vademecum

Cos’è un marchio®?

Il marchio d’impresa è un nome, un simbolo o, più genericamente, un segno la cui funzione è quella di collegare il prodotto o il servizio erogato ad una specifica realtà imprenditoriale in modo da distinguerlo da prodotti o servizi identici o simili forniti da altre aziende.

Registrare il marchio permette al suo titolare di esercitare un uso esclusivo sul proprio brand dando al contempo la possibilità di impedirne un utilizzo non autorizzato nel territorio in cui ne è stata chiesta la registrazione. Il marchio occupa dunque una funzione fondamentale nella strategia di marketing dell’impresa, creando un legame univoco tra azienda e destinatario dei prodotti o servizi che l’azienda propone.

L’ambito di registrazione: i prodotti e servizi

Abbiamo visto come la registrazione del marchio conferisce al suo titolare il diritto di esclusiva sul suo utilizzo. Tuttavia, questa esclusiva non è valida per tutti i prodotti e servizi esistenti bensì solo su quei prodotti e servizi individuati preventivamente al momento della presentazione della domanda.  A tale scopo esiste una classificazione internazionale (la cosiddetta classificazione di Nizza) che identifica 45 classi tra prodotti e servizi. Quando si richiede la registrazione di un marchio, è necessario “associare” il proprio marchio ad almeno una classe di prodotti e servizi.

Se una di queste classi viene omessa, un terzo può registrare liberamente un marchio per la classe non specificata.

Per questo motivo è fondamentale individuare sin dall’inizio in quale classe ricade il prodotto o servizio che si intende offrire al mercato.

Dove e come registrare il marchio

Una volta individuate le classi  il passo successivo sarà quello di identificare lo stato o gli stati in cui si intende fare domanda per la registrazione del proprio marchio. Proprio come la scelta delle classi, l’individuazione del territorio in cui si vuole richiedere la registrazione è una fase prodromica e cruciale nell’iter di registrazione del marchio per due ordini di motivi. Il primo ordine di motivi è relativo alla territorialità del marchio, per cui la mancata registrazione del marchio in un determinato paese comporta che lo stesso possa essere liberamente registrato da terzi. La scelta degli stati target dipenderà fondamentalmente dal tipo di circolazione geografica del prodotto o servizio al momento della registrazione e dalle previsioni aziendali nel medio termine.

Il secondo ordine di motivi è relativo ai requisiti di registrabilità che possono variare in base al territorio che si sceglie. Ogni Paese, infatti, ha procedure e tasse specifiche per la registrazione del marchio all’interno del suo territorio.  Senza un’approfondita analisi di questi requisiti si rischierebbe di veder rigettata la propria domanda, con la conseguente perdita delle risorse spese per la procedura.

Requisiti e caratteristiche del marchio

Affinché il marchio possa esser registrato deve rispettare i seguenti requisiti:

  • Liceità: non deve essere contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Non deve essere idoneo ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.
  • Distintività: Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono.
  • Originalità: è cruciale assicurarsi, tramite una ricerca di anteriorità, che non esista un marchio registrato identico o simile a quello che si intende registrare, in quanto il marchio deve essere l’identità dell’azienda per garantire la qualità e l’origine dei suoi prodotti e servizi.

Una volta soddisfatti questi requisiti tutti i segni rappresentabili possono costituire marchi, siano essi parole, nomi, disegni, lettere, numeri, colori, forme o suoni dei prodotti o della loro confezione, purché tali segni siano idonei a distinguere i prodotti o servizi di un’azienda da un’altra; e essere chiaramente enunciato nel registro in modo che l’oggetto della protezione accordata al titolare sia identificato in modo chiaro e preciso.

 

I professionisti di Aiternalex adottano un approccio strategico alla protezione dei marchi, seguendo i propri clienti dalla fase di progettazione fino a quella di gestione e sfruttamento del proprio portafoglio marchi nazionali e internazionali.