Tassazione Crypto: differenze tra ieri ed oggi

Fino ad oggi le criptovalute venivano intese ai fini fiscali come “valute estere”, quindi la norma era quella di pagare l’imposta sostitutiva del 26% sulla plusvalenza solo per coloro che detenevano per più di sette giorni lavorativi 51.000 € sui propri wallet. Chi, invece, si trovava al di sotto di questa soglia non risultava essere soggetto a tassazione. Ora, con la nuova norma introdotta dalla legge di bilancio, le criptovalute non sono più viste ai fini fiscali come “attività estere”, bensì, come “cripto attività”, conservando il regime di tassazione che si applica a quelle che vengono chiamate attività finanziarie.

Il fisco, in seguito alla nuova norma, è stato molto chiaro: lo scambio di cripto attività tra di loro (cripto to cripto) non sono tassate, ma applica l’imposta sostitutiva del 26% su quelle plusvalenze realizzate, quindi derivanti da una vendita, se la suddetta supera la nuova soglia dei 2.000 €. Il termine plusvalenza è un termine che tra noi cripto investitori sta creando un po’ di confusione e necessita di ordine: la plusvalenza viene calcolata dall’aggregato di tutte le transazioni fatte anche in exchange diversi e, dal 2023, anche dai proventi provenienti da altre attività (come lo staking di NFT, farming, ecc.). Inoltre, rispetto alla vecchia normativa viene introdotta un’imposta di bollo dello 0,2 % all’ anno a tutti i detentori di cripto.

Cosa vuol dire cashout?

Cashout vuol dire incassare, quindi nel momento in cui andiamo ad incassare euro nel nostro conto, andremo a pagare l’ imposta; ma c’è una novità: se negli exchange dove deteniamo cripto ad un certo punto li convertiamo in FIAT ( Euro ) andremo a pagare l’ imposta anche in questo caso. 

Come faccio a ridurre il rischio della volatilità cripto e non andare a pagare l’imposta?

La soluzione più semplice ed efficace per non convertire subito cripto in FIAT ed andare a pagare l’imposta è rimanere nelle cripto attività e, quindi, convertire i token in stable coin, ossia coin che hanno come controvalore il dollaro. Così facendo, inoltre, si attenua il rischio della elevata volatilità dalla quale è caratterizzato il mercato delle cripto attività.

Dichiarazione dei redditi 2022 in confronto a quella che verrà.

Come ho detto prima, le cripto venivano considerate come valute estere e quindi bisognava andare a compilare il quadro RW dei redditi PF, essendo obbligatorio il monitoraggio. In caso contrario, doveva essere compilato il quadro RT se si andava a fare cashout e pagare l’ imposta del 26%. Con la nuova norma resta invariata la compilazione del quadro RW per l’obbligo di monitoraggio, ma viene modificato il ruolo degli intermediari. Se deteniamo cripto tramite exchange italiani, sarà loro compito adempiere gli obblighi di monitoraggio in confronto col fisco, ma se abbiamo cripto in exchange esteri oppure nei wallet DEFI, Ledger, ecc. dobbiamo compilare il quadro RW.

Gli NFT vengono considerati cripto attività?

Sì, vengono considerati cripto attività e appartengono alla categoria di cui abbiamo parlato. Poniamo l’attenzione sul fatto che siano dei cripto asset, ma diversi dalle criptovalute. Facciamo un esempio pratico: se con Ethereum compriamo un NFT e poi,  successivamente, lo vendiamo e riceviamo Ethereum, risulta come se avessimo effettuato una plusvalenza oppure minusvalenza, quindi saranno tassabili con l’ imposta al 26%.

Esiste una norma per regolarizzare chi non ha mai dichiarato?

Si, in realtà una norma già esiste nel nostro sistema e si chiama ravvedimento operoso; consiste nel pagare lo 0,5% all’ anno dell’importo indicato già nel quadro RW, a cui si aggiungono le eventuali imposte sulle plusvalenze. Se invece si dovesse seguire la nuova norma, basterebbe pagare sempre lo 0,5% all’ anno dell’importo specificato nel quadro RW ed aggiungere il 3,5% del valore segnalato nel quadro RW qualora fossero presenti altri redditi. Infine, si potrebbe usufruire anche del processo della rivalutazione che proverò a spiegare con un esempio: se in passato ho comprato Bitcoin a 5.000 € ed oggi ne vale 20.000 €, è possibile applicare la rivalutazione pagando il 14% della differenza tra 5.000 e 20.000. In questo modo la nostra posizione fiscale risulterà in regola. Concludendo, quindi, le plusvalenze o minusvalenze si iniziano a calcolare dai 20.000 € e non da 5.000 € che sarebbe il nostro prezzo d’acquisto.