Pubblicati da Giovanni Gaeta

Il Fenomeno degli E-Sports

Una novità nell’Industria del Gaming e nel Diritto

Negli ultimi anni, gli e-sports hanno sperimentato una crescita esplosiva, emergendo come un motore trainante nell’industria del gioco elettronico. Secondo le statistiche più recenti, il numero di spettatori e partecipanti agli e-sports continua a crescere in modo significativo, segnalando un cambiamento radicale nelle abitudini di intrattenimento e di consumo. In questo articolo, esploreremo il fenomeno degli e-sports, analizzando le tendenze attuali e proiettando i futuri sviluppi economici, con un’attenzione particolare alla normativa italiana che regola questo settore in rapida evoluzione.

Diffusione degli E-Sports e Sviluppi Economici Futuri

Secondo le ultime statistiche, gli e-sports stanno vivendo una crescita senza precedenti in termini di spettatori e partecipanti. Nel 2023, il numero globale di spettatori degli e-sports è stato stimato in oltre 474 milioni, con una previsione di ulteriore crescita nei prossimi anni. Questo fenomeno non riguarda solo i paesi tradizionalmente associati agli e-sports, ma si sta diffondendo in tutto il mondo, compresa l’Italia, dove sempre più persone si appassionano a questa forma di intrattenimento competitivo.

Gli e-sports non sono solo una forma di intrattenimento, ma anche un mercato economico in crescita. Si prevede che il settore degli e-sports cresca in maniera esponenziale nei prossimi anni grazie alla sponsorizzazione dei nuovi soggetti coinvolti materialmente nel momento sportivo, alle vendite di biglietti per gli eventi attualmente ancora non sfruttate, ai futuri diritti televisivi e alle entrate dei media digitali che per la prima volta vengono coinvolti direttamente nell’erogazione del servizio. Inoltre, la crescente popolarità degli e-sports sta spingendo sempre più aziende a investire in questo settore, creando opportunità economiche per giocatori professionisti, organizzatori di eventi e aziende legate all’industria dei videogiochi.

Cenni alla Normativa Italiana sugli E-Sports

Attualmente in Italia non esiste una legge specifica che regoli gli e-sports. Il problema più grande risulta ovviamente la mancata qualificazione normativa degli e-sports come “Sport” a titolo agonistico per permettere a tutti gli operatori del settore di beneficiare di una disciplina amministrativa e tributaria della loro attività. Di fatto tale assenza produce l’effetto di vanificare i tentativi di supplenza degli enti amministrativi coinvolti nella gestione di tali attività come il CONI. 

Tuttavia, ci sono alcune leggi e regolamenti esistenti che hanno implicazioni per questo settore in rapida crescita.

Per quanto riguarda le competizioni, attualmente gli e-sports risultano regolati principalmente dall’art. 3 del dpr 430/2001 il quale, in maniera decisamente estensiva, norma tutte le “operazioni a premio” statuendo che “Sono considerate operazioni a premio[…] le manifestazioni pubblicitarie che prevedono: a) le offerte di premi a tutti coloro che acquistano o vendono un determinato quantitativo di prodotti o di servizi e ne offrono la documentazione raccogliendo e consegnando un certo numero di prove documentali di acquisto, anche su supporto magnetico; b) le offerte di un regalo a tutti i coloro che acquistano o vendono un determinato prodotto o servizio.” Di fatto comprendendo all’interno di un complesso iter amministrativo qualsiasi tipologia di consegna di premi in qualunque forma non commerciale o di liberalità.

Esiste poi una normativa specifica con disposizioni che regolano l’industria dei videogiochi in generale. Ad esempio, la legge stabilisce regole per la commercializzazione e la distribuzione di videogiochi, nonché per la protezione dei minori dai contenuti inappropriati. È necessario anche accennare al fatto che gli e-sports coinvolgono l’uso di contenuti protetti da copyright, come videogiochi e streaming di partite, i quali sono tutelati dalla legge italiana sul copyright e la proprietà intellettuale, la quale protegge i diritti degli autori e dei creatori di contenuti, stabilendo regole per l’uso legale degli stessi 

Inoltre, il mondo degli e-sports coinvolge molti professionisti come giocatori, allenatori e organizzatori di eventi, che sono tutti soggetti alle leggi italiane in materia di rapporti di lavoro dipendente e di contrattualistica. Infine, poiché gli e-sports coinvolgono spesso la raccolta e il trattamento dei dati personali dei giocatori e degli spettatori, è importante che le organizzazioni e le piattaforme di e-sports rispettino le leggi italiane sulla privacy e la protezione dei dati personali, come il GDPR.

Data la natura in continua evoluzione degli e-sports e della relativa industria, sono sicuramente necessarie leggi e regolamenti specifici per affrontare le questioni uniche che riguardano questo settore; anche Aiternalex è attiva in questo settore per sollecitare un intervento normativo.

UNO SGUARDO D’INSIEME SUL PACCHETTO LEGISLATIVO PER I SERVIZI DIGITALI

Dopo l’adozione del Pacchetto Servizi Digitali in prima lettura da parte del Parlamento europeo nel luglio 2022, sia la Legge sui Servizi Digitali che la Legge sui Mercati Digitali sono state adottate dal Consiglio dell’Unione Europea, firmate dai Presidenti di entrambe le istituzioni e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. 

Cosa contengono questi due atti che formano il nuovo pacchetto per i servizi digitali? Perché si è resa necessaria la loro adozione? Quali sono i termini già scaduti di questi due provvedimenti e quali saranno le prossima?

In questo breve articolo forniremo una prima risposta a queste domande, riservando la trattazione dei singoli atti a successive pubblicazioni sul blog di Aiternalex.

Perché si è resa necessaria l’adozione del DSA del DMA?

I servizi digitali hanno un impatto significativo e sono finalizzati alla semplificazione della nostra vita. Li usiamo in molti aspetti della nostra quotidianità e sarebbe difficile farne a meno sia nella vita personale che nel lavoro per comunicare, fare acquisti, ordinare cibo, trovare informazioni, vedere film e ascoltare musica. I servizi digitali hanno anche reso più snelle le pratiche commerciali e hanno espanso enormemente il mercato di riferimento anche per microimprese, PMI e imprese artigiane.  

I vantaggi della trasformazione digitale sono evidenti e numerosi ma portatori di nuovi paradigmi che recano con loro nuove problematiche. Uno dei problemi principali è il commercio e lo scambio di beni, servizi e contenuti illegali online. I servizi online vengono inoltre utilizzati oggigiorno in modo improprio da sistemi algoritmici per manipolare l’opinione dei cittadini dell’U.E. attraverso la diffusione di elementi di disinformazione o attraverso altre pratiche illegali. Il modo in cui le piattaforme online affrontano queste sfide impatta enormemente sulla vita dei singoli cittadini dell’Unione.

Nonostante una serie di interventi di rango europeo mirati al contrasto di pratiche illegali o scorrette nel settore digitale, all’inizio della seconda decade del nuovo millennio abbiamo ancora notevoli lacune da affrontare. Senza dubbio uno di questi è l’oligopolio di alcune grandi piattaforme che controllano importanti ecosistemi dell’economia digitale. Queste ultime si sono affermate come veri e propri regolatori dei mercati digitali e le loro regole a volte si traducono in condizioni inique per le imprese che utilizzano le loro piattaforme e in una minore possibilità di scelta per i Consumatori.

Per questo motivo l’Unione ha adottato un quadro giuridico moderno che garantisca la sicurezza dei cittadini dell’Unione stessa (nella qualità di utenti dei servizi digitali).

DSA & DMA

La legge sui servizi digitali o Digital Service Act (di seguito anche solo “DSA”) e la legge sui mercati digitali Digital Market Act (di seguito anche solo “DMA”) costituiscono un unico insieme di norme applicabili in tutta l’U.E. le quali mirano a 

  1. creare uno spazio digitale sicuro per i cittadini dell’Unione, in cui siano tutelati i diritti fondamentali degli utenti fruitori dei servizi digitali, oltre che
  2. stabilire condizioni di parità nell’ambito della concorrenza fra imprese che operano nel settore del digitale per promuovere l’innovazione, la crescita e la competitività, sia nel mercato unico europeo che a livello globale.

Cosa s’intende per Servizi Digitali? A chi sono rivolte il DSA & DMA? Qual è il contenuto dei due Atti?

I servizi digitali comprendono un’ampia categoria dei servizi fruibili online, dai semplici siti web ai servizi infrastrutturali legati al web e alle piattaforme online.

Il DSA è un insieme completo di nuove norme che regolano le responsabilità dei servizi digitali che agiscono come intermediari all’interno dell’UE per connettere digitalmente i Consumatori con beni, servizi e contenuti. In questo contesto, per “servizi digitali” si intendono le piattaforme online, come i marketplace e i social media.

Il DSA stabilisce chiari obblighi di due diligence per le piattaforme online e altri intermediari online. La legge prevede anche misure per dissuadere i professionisti disonesti dal raggiungere i Consumatori. Il DSA offre anche maggiori requisiti di trasparenza per le piattaforme online in merito alle decisioni sulla rimozione e la moderazione dei contenuti e sulla pubblicità.

Il DMA, invece, comprende norme che regolano le piattaforme online definite “gatekeeper”; mira a rendere i mercati del settore digitale più equi e concorrenziali. A tal fine, il Digital Markets Act stabilisce una serie di criteri oggettivi chiaramente definiti per identificare i gatekeeper.

I gatekeeper sono grandi piattaforme digitali che forniscono i cosiddetti servizi di base, come motori di ricerca online, app store e servizi di messaggistica. Le piattaforme gatekeeper sono piattaforme digitali con un ruolo rilevante nel mercato interno, sistemico, che fungono da filtro tra imprese e Consumatori per importanti servizi digitali. I gatekeepers saranno chiamati a rispettare i do’s (cioè gli obblighi) e i don’t (cioè i divieti) elencati nella DMA. 

Il DMA è uno dei primi strumenti normativi che regolamenta in modo completo il potere di gatekeeper delle più grandi aziende digitali. Il DMA integra, ma non modifica, le regole di concorrenza dell’UE, che continuano ad essere pienamente applicate.

La Roadmap

La DSA è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 ottobre 2022 ed è entrata in vigore il 16 novembre 2022. La DSA sarà direttamente applicabile in tutta l’UE e si applicherà dal 17 febbraio 2024.

Le piattaforme online sono state obbligate a pubblicare il numero di utenti attivi entro il 17 febbraio 2023. La piattaforma o il motore di ricerca con più di 45 milioni di utenti (il 10% della popolazione europea), sono stati designati come piattaforma online molto grande o motore di ricerca online molto grande il 25 aprile 2023 dalla Commissione: 

Very Large Online Platforms:

  • Alibaba AliExpress
  • Amazon Store
  • Apple AppStore
  • Booking.com
  • Facebook
  • Google Play
  • Google Maps
  • Google Shopping
  • Instagram
  • LinkedIn
  • Pinterest
  • Snapchat
  • TikTok
  • Twitter
  • Wikipedia
  • YouTube
  • Zalando

Very Large Online Search Engines:

  • Bing
  • Google Search. 

Questi soggetti hanno avuto 4 mesi di tempo per conformarsi agli obblighi della DSA, che comprendono l’espletamento e la trasmissione alla Commissione della loro prima valutazione annuale dei rischi.

Il 12 ottobre 2022 la DMA è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed è entrata in vigore il 1° novembre 2022. Entro il 3 luglio 2023, le aziende hanno dovuto fornire alla Commissione informazioni sul loro numero di utenti, in tal modo la Commissione, il 6 settembre u.s., ha designato 6 società come gatekeeper ai sensi dell’art. 3 della menzionata normativa. Si tratta di 

  • Alphabet
  • Amazon
  • Apple
  • ByteDance
  • Meta 
  • Microsoft. 

I gatekeeper avranno tempo fino a marzo 2024 per garantire il rispetto degli obblighi della DMA.

Cosa significa fare startup oggi?

Elementi di base

Cosa significa fare startup oggi è sicuramente una domanda semplice che però necessita di una risposta molto articolata. 

Sicuramente non vuol dire avere molto tempo libero e dormire sonni tranquilli ed altrettanto certamente non vuol dire essere rilegati a fare un lavoro sgradevole e sottopagato.

Fare startup oggi è diventato indubbiamente più facile di ieri, se per startup intendiamo quella cerchia di attività imprenditoriali nella loro fase iniziale, il cui oggetto sociale sia legato alla sfera dell’innovazione; e, oggi, fare innovazione è più facile grazie alla proliferazione di Fondi pubblici, VC e business angels. Purtroppo, in Italia, siamo ancora lontani dalla risoluzione del problema dell’accesso al credito per questo tipo di imprenditorialità, anche in virtù del malcostume di alcuni investitori a chiedere poco e pretendere molto (troppo) dai founders.

Oltre ad essere migliorato sensibilmente l’accesso al credito, si deve registrare un piccolo miglioramento anche nell’offerta di servizi per le startup. Questo evento si deve all’azione congiunta svolta dalla nascita di diversi incubatori e di società private i cui servizi sono stati migliorati e calibrati sulle necessità specifiche dell’imprenditorialità innovativa nei suoi primi anni di vita.

Al di là dell’ecosistema che solo in parte qualifica cosa significhi fare startup oggi, queste poche righe nascono per dare una risposta a quali siano gli elementi di base necessari per creare l’alchimia di una startup, rinviando ad altri interventi su questo blog gli approfondimenti in relazione a materie specifiche legate a questo tema.

L’idea

Sicuramente per poter pensare anche solo lontanamente a una startup è necessario avere un’idea. Avere un’idea non vuole dire avere un’intuizione. Un’intuizione è “un atto conoscitivo semplice, istantaneo, sinottico; designa perciò una forma di conoscenza immediata, in contrapposto a ogni conoscenza di carattere discorsivo”; mentre un’idea è un termine molto più complesso che va declinato all’interno del settore dove si cala e, nel significato più ampio e generico, costituisce la rappresentazione di un oggetto nella mente: la nozione che la mente riceve di una cosa reale o immaginaria, frutto della propria coscienza.

Un’idea è qualcosa di più complesso dell’intuizione, si sviluppa da essa ma ne costituisce uno stato più evoluto dove l’intuizione viene filtrata ed elaborata sulla base delle proprie conoscenze e competenze uscendone modificata e, per questo, migliorata rispetto allo stato iniziale.

A volte è necessario attendere mesi prima che un’intuizione si tramuti in un’idea, poiché il processo di elaborazione viene ripetuto ciclicamente, talvolta arricchendolo con il contributo dei primi embrionali elementi del “team” che vedremo in seguito.

Le competenze

Inutile girarci intorno, affinchè il processo di trasformazione di un’intuizione in un’idea dia degli ottimi frutti, è necessario avere le competenze necessarie per il settore che si vuole approcciare. Quasi certamente sarà necessario approfondire tecnicamente le tematiche del settore scelto, in virtù di eventuali protocolli specifici del tema che si vuole trattare, per evitare che le stesse costituiscano un ostacolo allo sviluppo del business model.

Studiare e lavorare sulla materia sono certamente elementi preliminari alla costituzione di una startup, tuttavia, è praticamente impossibile coprire tutte le competenze specifiche necessarie per ogni singolo elemento legato al business model ed è qui che emerge la necessità del prossimo elemento fondamentale, il “team”.

Il team

Il team vede il suo valore manifestarsi già nelle primissime fasi di sviluppo di una startup ma, in realtà ha solo iniziato il suo rapporto con la startup perché sarà fondamentale in ogni singola fase del suo sviluppo.

Scegliere i membri del team è molto difficile e ci sono diverse scuole che in maniera più o meno condivisibile si esprimono sul tema; per questo eviteremo di dilungarci troppo soffermandoci solo un momento per citare un elemento senza il quale, al di là delle scuole, non è certamente possibile formare un team: la fiducia.

Fra i membri del team è necessario che si vada al di là del semplice rispetto, è necessario che ci sia fiducia affinché tutti siano in grado di esprimere al massimo il proprio valore, individuale e come membro del team.

I team è il volano dell’idea, amplifica la portata delle conoscenze e competenze dalle quali viene filtrata l’idea, la quale emerge da questo processo enormemente arricchita e pronta ad essere calendarizzata nelle sue diverse fasi di progettazione e sviluppo, la roadmap.

La roadmap

Fondamentale fin dai primi momenti successivi alla definizione di un’idea è la creazione di una checklist di azioni necessarie per la progressione nella progettazione e nello sviluppo dell’idea e la calendarizzazione di ciascuna azione. 

La roadmap ha un ruolo cardine in relazione alla distribuzione delle diverse azioni poiché costituisce anche un elemento di raccordo nel caso un’azione necessiti dell’intervento di soggetti diversi rispetto a quelli originariamente previsti o, nel caso che più azioni convergano per una fase successiva congiunta. Inutile dire quanto sia necessario il rispetto dei tempi fissati nella roadmap e la loro eventuale ri-calendarizzazione nel caso di eventi imprevisti e/o sopraggiunti.

È facilmente intuibile come la roadmap non sia un documento rigido ma, un documento estremamente fluido che deve potersi adattare agli imprevisti, ai rallentamenti e ai pivot, fino alle varie diramazioni che l’idea potrebbe prendere e che potrebbero non convergere su un unico business model.

Gli Advisors

Ultimo elemento di base per la creazione di una startup sono gli Advisors. Gli advisors hanno la funzione di guidare l’azione dei founders e quella del team in generale; si differenziano da quest’ultimo poiché le loro competenze sono fondamentali ma, ai margini dello sviluppo del core business; ne costituiscono una conditio sine qua non per il suo setup ma sono estranee al processo di erogazione del servizio o di vendita del bene.

La motivazione della necessità della loro presenza è lampante, come immediati sono i benefici che ne colgono le startup quando riescono ad inserire nel loro network degli advisor professionisti per ciascuna necessità elementare per una startup: legale, fiscale, finanziaria, di progetto, tecnica.

Fare startup oggi

Per poter fare startup oggi sono estremamente fondamentali questi elementi: L’idea, Le competenze, Il team, La roadmap e Gli advisors. Senza questi elementi essenziali è difficile se non impossibile in condizioni normali di mercato riuscire a superare le fasi iniziali che contraddistinguono la vita di una startup.

Una volta aggregati questi elementi, dopo aver mosso i primi passi nello sviluppo del core business, sarà possibile procedere ad un round di finanziamento della startup, ovvero il suo pre-seed. Tale eventualità è esclusa nel caso la startup pianifichi di portare avanti le fasi iniziali di progettazione e sviluppo del core business con propri mezzi economici o mediante eventuali finanziatori che abbiano fatto ingresso nell’unico momento precedente, ovvero quelli di validazione dell’idea.

Aspetti legali dei Contratti Digitali, l’E-commerce (Parte Seconda)

La settimana scorsa abbiamo avuto modo di inquadrare brevemente il fenomeno dell’eCommerce e abbiamo approfondito dove, come e quando si ritiene concluso un contratto digitale.

Fra i problemi giuridici affrontati la settimana scorsa in relazione ai contratti digitali è stato volutamente escluso un problema discretamente complesso per cui si è resa necessaria una trattazione separata, parliamo di quale legge sia applicabile ai contratti digitali.

QUAL È LA LEGGE APPLICABILE AI CONTRATTI DIGITALI?

In tema di eCommerce è necessario a tal proposito fare riferimento ad una pluralità di fonti normative, tra le quali la Convenzione di Roma e il Regolamento Roma I.

La Convenzione di Roma del 1980 inerente la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali è una convenzione di diritto internazionale privato entrata in vigore in Italia l’1 aprile 1991, a seguito di ratifica intervenuta con Legge n. 975 del 18 dicembre 1984.

Essa è in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europea ma ha carattere universale, in quanto trova applicazione anche quando la legge alla quale i suoi principi rinviano non sia la legge di uno Stato contraente.

Negli anni, alla ratifica della Convenzione è succeduta l’adozione del Regolamento (CE) n. 593/2008, conosciuto come “Regolamento Roma I” il quale ha prodotto l’effetto, all’interno dell’Unione Europea, della disapplicazione della Convenzione ai contratti stipulati a partire dal 17 dicembre 2009.

LA CONVENZIONE DI ROMA E I CONTRATTI DI DIGITALI

Assumendo che i rapporti di eCommerce dei quali parliamo siano caratterizzati da una componente internazionale dei soggetti coinvolti, ai fini dell’individuazione della legge applicabile ai contratti internazionali la Convenzione indica tre criteri:

  1. l’autonomia delle parti;
  2. quello di prossimità,
  3. quello di conservazione

Il criterio principale, l’autonomia delle parti

Il principale criterio di collegamento fissato dalla Convenzione è certamente quello della volontà delle parti (1). L’autonomia delle parti nello scegliere qual è la legge applicabile al contratto (“choice of law”) è un principio assoluto che può legittimare anche il ricorso a sistemi normativi che non hanno alcun collegamento con gli elementi essenziali del contratto o all’applicazione di diversi sistemi normativi a parti diverse del contratto (“depecage”).

La “choice of law” è considerata un negozio giuridico e può essere sia espressamente deliberata che tacitamente individuata attraverso l’interpretazione del contenuto del contratto o dalle circostanze che ne hanno accompagnato la stipula. Tale scelta è sempre modificabile tramite accordo delle parti ma la modifica non produrrà effetti in relazione alla possibile sopraggiunta invalidità del contratto o in relazione a possibili pregiudizi a diritti acquisiti di terze parti.

Molto rilevante ai fini dell’applicazione della convenzione all’eCommerce è la disciplina in relazione ai contratti conclusi con consumatori (2) i quali non possono essere privati della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative della legge del paese nel quale risiede abitualmente.

Nello specifico:

  • se la conclusione del contratto è stata preceduta nel paese di residenza abituale del consumatore da una proposta specifica o da una pubblicità e se il consumatore ha compiuto nello stesso paese gli atti necessari per la conclusione del contratto, oppure
  • se l’altra parte o il suo rappresentante ha ricevuto l’ordine del consumatore nel paese di residenza, oppure
  • se il contratto rappresenta una vendita di merci e se il consumatore si è recato dal paese di residenza in un paese straniero e vi ha stipulato l’ordine, a condizione che il viaggio sia stato organizzato dal venditore per incitare il consumatore a concludere una vendita;

si applicherà legge del paese nel quale il consumatore ha la sua residenza abituale.

Tale norma non trova applicazione nel caso di contratti di trasporto e contratti di fornitura di servizi quando i servizi dovuti al consumatore devono essere forniti esclusivamente in un paese diverso da quello in cui egli risiede abitualmente, salvo che si tratti di contratti che prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale.

I criteri residuali

Nella misura in cui la legge che regola il contratto non sia stata scelta, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto. Tuttavia, qualora una parte del contratto sia separabile dal resto e presenti un collegamento più stretto con un altro paese, a tale parte del contratto potrà applicarsi, in via eccezionale, la legge di quest’altro paese.

A tal proposito, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione che caratterizza il contratto ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale. Nei contratti che presentano prestazioni corrispettive si esclude la natura caratterizzante delle prestazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme di danaro.

Inoltre, quando il contratto ha per oggetto un diritto reale su un bene immobile o il diritto di utilizzazione di un bene immobile, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese in cui l’immobile è situato e, per il contratto di trasporto di merci, si presume che il collegamento più stretto sia con il paese in cui il vettore ha la sua sede principale al momento della conclusione del contratto, se il detto paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o di scarico o la sede principale del mittente.

In base al criterio della conservazione, il contratto va considerato pienamente valido, qualora soddisfi i requisiti di forma richiesti dalla legge che ne regola la sostanza o, alternativamente, dalla legge del luogo in cui è stato concluso.

I CONTRATTI DIGITALI SECONDO IL REGOLAMENTO (CE) N. 593/2008

Come precedentemente specificato, il “Regolamento Roma I” ha prodotto l’effetto, all’interno dell’Unione Europea, della disapplicazione della Convenzione ai contratti stipulati a partire dal 17 dicembre 2009.

Seppur ribadendo la centralità e priorità della scelta delle parti in merito alla legge applicabile (3), il Regolamento ha determinato la natura meramente residuale del criterio che impone il riferimento alla legge del paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto, fissando criteri specifici per le varie tipologie contrattuali individuate. Per cui:

  • il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;
  • il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale;
  • il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato;
  • tuttavia, la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese;
  • il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale;
  • il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale;
  • il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo;
  • il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, quali è disciplinato dalla direttiva 2004/39/CE (4).

Regole molto particolari vengono dettate per i contratti di trasporto poiché le parti possono scegliere come legge applicabile al contratto di trasporto di passeggeri solo la legge del paese in cui: a) il passeggero ha la residenza abituale; b) o il vettore ha la residenza abituale; c) o il vettore ha la sua amministrazione centrale; d) o è situato il luogo di partenza; e) o è situato il luogo di destinazione.

Inoltre, nella misura in cui la legge applicabile al contratto di trasporto non sia stata scelta:

  • la legge applicabile al contratto di trasporto di merci è quella del paese di residenza abituale del vettore, a condizione che il luogo di ricezione o di consegna o la residenza abituale del mittente siano anch’essi situati in tale paese;
  • la legge applicabile a un contratto di trasporto di passeggeri è quella del paese di residenza abituale del passeggero, purché il luogo di partenza o di destinazione sia situato in tale paese.

In ogni caso, se tali condizioni non sono soddisfatte, si applica la legge del paese in cui il vettore ha la residenza abituale.

Note:

  1. Art. 3, Legge 18/12/1984 n° 975
  2.  Art. 5, Legge, 18/12/1984 n° 975
  3.  Art. 3, Regolamento (CE) n. 593/2008
  4. Art. 4, Regolamento (CE) n. 593/2008

Aspetti legali dei Contratti Digitali, l’E-commerce (Parte Prima)

ECOMMERCE, UNA BREVE INTRODUZIONE

L’eCommerce non ha certo bisogno di presentazioni in virtù della sua sempre crescente diffusione; nel 2022 l’eCommerce di prodotto ha continuato la propria corsa, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto a quanto visto nel 2021 (+18% sul 2020), toccando i 33,2 miliardi di euro. Gli acquisti online di servizi, invece, portano a termine il proprio percorso di ripresa (+59%) e raggiungono quota 14,9 miliardi di euro (1).

Già dalla comunicazione del 15 aprile 1997 la Commissione Europea ne aveva capito la portata e aveva anticipato i tempi tentandone un inquadramento statuendo che “il commercio elettronico ha come oggetto lo svolgimento degli affari per via elettronica. Esso si basa sull’elaborazione e la trasmissione elettronica delle informazioni, incluso testi, suoni e video-immagini. Il commercio elettronico comprende molte attività diverse, quali la compravendita di beni e servizi per via elettronica, la distribuzione in linea di contenuti digitali, il trasferimento elettronico di fondi, le contrattazioni elettroniche di borsa, le polizze di carico elettroniche, le gare di appalto e le vendite all’asta, il design e la progettazione in collaborazione, la selezione in linea dei fornitori, il marketing diretto dei beni e servizi per il consumatore, nonché l’assistenza post-vendita”. (2)

La vera portata innovativa dell’eCommerce è data dalla sua tecnologia abilitante, il web, nato con l’obiettivo di abbattere le barriere fra le persone. Fra le barriere che il web ha avuto il merito di abbattere ci sono sicuramente quelle legate alla nazionalità della clientela per le attività commerciali; attraverso l’eCommerce è possibile ampliare esponenzialmente il potenziale pubblico di acquirenti continuando a lavorare dalla propria scrivania.

ECOMMERCE, INQUADRAMENTO LEGALE

Già da molto tempo è risultato evidente che questa nuova tecnologia e il conseguente fenomeno dell’eCommerce necessitavano di nuove regole che potessero adattarsi meglio alla dematerializzazione del commercio, il quale sta (più o meno velocemente) traslando da spazi fisici a spazi virtuali.

Da un punto di vista puramente giuridico, la dematerializzazione degli spazi commerciali è rilevante per diversi profili contrattuali, tra i quali:

  • formazione del consenso (es. acquisizione consenso totalmente automatizzata tramite form);
  • esecuzione del contratto (es. acquisto di software informatici tramite download);
  • modalità di pagamento del prezzo (es. pagamento mediante connessione al proprio account di servizi di pagamento terzi. Inserimento di dati identificativi di una carta di debito/credito).

Questi nuovi paradigmi hanno reso necessario l’interpretazione giuridica del fenomeno dell’eCommerce per tentare l’adattamento di concetti tipici del diritto civile in materia di contrattualistica

DOVE, COME E QUANDO SI RITIENE CONCLUSO UN CONTRATTO DIGITALE?

Assumendo che un contratto sia concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte; che l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito e che qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa (3); comprendiamo subito che l’applicazione di questi principi necessita di alcune differenziazioni.

La prima grande differenza è relativa alla modalità con la quale le parti decidono di stipulare il contratto, distinguendola in

  1. vendita via eMail;
  2. vendita via eShop (portale di eCommerce).

Nel primo caso si ritiene applicabile lo schema tipico della presunzione di conoscenza per la quale la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona per i fini di cui sopra, si reputano conosciute dalla stessa nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di essere stato incolpevolmente impossibilitato ad averne notizia. Dall’applicazione di questo principio, pertanto, è risultata evidente l’estrema utilità della PEC (posta elettronica certificata), il cui utilizzo, da anni, ha trovato spazio all’interno della legislazione di diversi Stati (4).

Nel secondo caso, invece, possiamo ritenere applicabile lo schema tipico dell’offerta al pubblico la quale, qualora contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta contrattuale, salvo che risulti diversamente dalle circostanze del caso specifico o dagli usi commerciali. Secondo tale schema la revoca dell’offerta, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equivalente, è efficace nei confronti di tutti, anche nei confronti di coloro che non ne avevano avuto notizia (5).

In relazione al luogo di conclusione dei contratti di eCommerce, la dematerializzazione che caratterizza questa tipologia peculiare di contratti produce notevoli difficoltà interpretative, tanto che non esiste un’unica tesi in merito

Secondo una prima tesi, il contratto si concluderebbe nel luogo in cui il proponente ha scaricato la posta elettronica contenente l’accettazione ma, tale tesi è fortemente criticata perché generebbe più dubbi che certezze in relazione all’estrema portabilità degli strumenti attraverso i quali è possibile lo scambio di eMail.

Dalla critica alla precedente tesi, per assecondare regioni di certezza del diritto è stata avanzata una seconda tesi secondo la quale il luogo di conclusione del contratto deve essere identificato nel luogo dove è collocato il service provider contenente la casella postale del proponente. Tuttavia, anche questa tesi non produce risultati che siano considerabili risolutivi poiché, sempre in virtù della dematerializzazione del mezzo in parola e dell’estrema portabilità dei dati che connota il web, è ben possibile che la “regione” dove sia “ospitato” il servizio non sia facilmente identificabile.

Per queste ragioni si è fatta spazio una terza tesi che risolverebbe il problema del luogo della conclusione del contratto di eCommerce slegandosi dalla relazione con il mezzo utilizzato per la sua conclusione per far riferimento a parametri la cui certezza è decisamente solida. Secondo tale tesi, il luogo di conclusione del contratto andrebbe ravvisato nel luogo ove ha sede l’impresa o viene svolta l’attività professionale del destinatario dell’accettazione, indipendentemente dal luogo ove si trova il computer o il sito utilizzato.

RINVIO

In questa prima parte abbiamo avuto modo di inquadrare brevemente il fenomeno dell’eCommerce e abbiamo approfondito dove, come e quando si ritiene concluso un contratto digitale. Nell’approfondimento della prossima settimana riprenderemo l’analisi degli aspetti legali dei contratti digitali approfondendo quale sia la legge applicabile ai contratti digitali cercando di fornire tutte le coordinate necessarie per orientarsi in questa dimensione.

Note:

  1. https://www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/ecommerce-acquisti-online-crescita
  2.  Comunicato comunitario (Unione europea) 16-04-1997, n. COM(97)157
  3.  Art. 1326 C.C.
  4.  Art. 1335 C.C.
  5.  Art. 1336 C.C.

DIRITTO DI RECESSO E VENDITA DI NFT

La vicenda

La recente collezione NFT di Porsche ha fatto molto rumore. Nei ToS presenti al momento del minting c’è un punto che consente agli utenti di ottenere il diritto di recesso entro 14 giorni dal rilascio della collezione, qualunque sia il nuovo ” floor price” successivo al conio.

Cos’è il diritto di recesso? 

Il diritto di recesso, detto comunemente “diritto al ripensamento”, è uno dei più importanti diritti attribuiti al consumatore dal Codice del consumo. 

Il diritto di recesso consente al consumatore di cambiare idea sull’acquisto effettuato al di fuori dei locali commerciali del venditore, liberandosi dal contratto concluso senza fornire alcuna motivazione entro 14 giorni dall’acquisto. In tal caso, il consumatore potrà restituire il bene e ottenere il rimborso di quanto pagato.

Qual è la normativa di riferimento per il diritto di recesso applicabile alla vendita di NFT?

In Europa la materia è disciplinata dalla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori. La direttiva 2011/83/UE, sostituisce la direttiva sulla vendita a distanza (97/7/CE) e la direttiva sulle vendite a domicilio (85/577/CEE) armonizzando delle norme in materia di contratti tra consumatori e venditori.

Aggiornata con la direttiva (UE) 2019/2161, si tratta di un regime applicabile a un’ampia gamma di contratti conclusi tra professionisti e consumatori, in particolare contratti di vendita, contratti di servizio, contratti per contenuti digitali online e contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento; essa riguarda sia i contratti conclusi nei negozi e sia quelli conclusi fuori sede (ad es. presso l’abitazione del consumatore) o a distanza (ad esempio, online).

L’aggiornamento operato con la direttiva (UE) 2019/2161 ha esteso il campo di applicazione ai contratti in base ai quali il professionista fornisce o si impegna a fornire servizi digitali o contenuti digitali al consumatore, e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali. La normativa stabilisce, tra l’altro, una serie di obblighi di informazione a carico dei professionisti. In particolare, essi, prima di concludere un contratto, devono fornire ai consumatori, in un linguaggio semplice e comprensibile, informazioni quali:

  • l’identità e dati di contatto del professionista;
  • le caratteristiche principali del prodotto; e
  • le condizioni applicabili, compresi i termini di pagamento, i tempi di consegna, le
  • prestazioni, la durata del contratto e le condizioni di recesso.

È infine previsto che i venditori online informino i consumatori se si è un professionista o non professionista, avvertendo il consumatore della non applicabilità delle norme di tutela del consumatore dell’UE ai contratti conclusi con non professionisti. 

La direttiva 2011/83/UE include un articolato complesso di disposizioni in materia di recesso, in forza del quale, tra l’altro, i consumatori possono recedere da contratti a distanza e fuori sede entro 14 giorni dalla consegna della bene o dalla conclusione del contratto di servizio, con determinate eccezioni, senza alcuna spiegazione o costo; se il consumatore non è portato a conoscenza dei suoi diritti, il periodo di recesso è prorogato a 12 mesi.

L’Europa non è l’unica comunità che si è dotata di norme fortemente protettive per la parte contraente debole, molti paesi come ad esempio il Regno Unito, hanno adottato legislazioni che ricalcano una tutela identica o molto simile.

Quali società sono obbligate all’applicazione del diritto di recesso?

L’art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2011/83/UE, definisce l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina facendo riferimento a “qualsiasi contratto” concluso tra un professionista e un consumatore.

Pertanto, anche i progetti che hanno sede al di fuori del dell’Unione Europea nonché di altre nazioni (ad es. del Regno Unito) possono comunque essere soggetti alle leggi sui consumatori (del Regno Unito) e dell’Unione Europea e degli stati con simili normative quando vendono beni o servizi ai consumatori di questi stati. Questo perché il perimetro di applicazione di queste leggi comprende qualsiasi azienda che offra beni o servizi ai consumatori degli stati che offrono questa protezione, indipendentemente dal luogo in cui si trova l’azienda.

Ciò significa che le aziende internazionali che vendono ai consumatori, ad es. del Regno Unito e dell’UE, devono rispettare le leggi sui consumatori del Regno Unito e dell’UE. La mancata osservanza di queste leggi può comportare sanzioni per l’azienda, tra cui multe e azioni legali.

È possibile escludere il diritto di recesso?

Esiste una casistica che, in alcuni specifici casi, permette l’esclusione del diritto di recesso. Ad esempio, per la materia qui individuata, l’articolo 16 della direttiva 2011/83/UE lett. M), ci dice che “gli Stati membri non prevedono il diritto di recesso per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali relativamente a […] la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che avrebbe perso il diritto di recesso”. Una previsione molto specifica che, qualora interpretata correttamente, permetterebbe al professionista di evitare conseguenze pesantemente negative per l’economia del progetto rimanendo all’interno di un perimetro di legal compliance.

Quando è necessario il rappresentante dell’UE ai sensi del GDPR?

Forse non tutti sanno che l’articolo 27 del GDPR prevede la nomina di un rappresentante europeo per le aziende situate al di fuori dell’UE che svolgono attività di trattamento dei dati di cittadini europei.

In breve, il ruolo del rappresentante è quello di fungere da punto di contatto tra il titolare del trattamento, situato al di fuori del territorio dell’UE, e le autorità nazionali di protezione dei dati e gli interessati.

Essendo un obbligo imposto solo alle aziende extraeuropee, non sorprende che, all’interno dell’Unione Europea, a questa imposizione normativa non sia mai stata data particolare importanza.

Tuttavia, le aziende che non rispettano questo requisito possono spesso incorrere in multe salate.

In questo articolo cerchiamo di rispondere ad alcune delle domande più frequenti sul rappresentante dell’UE.

Qual è il ruolo di un rappresentante dell’UE ai sensi del GDPR?

Come si è accennato, il ruolo di un rappresentante ai sensi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) è quello di fungere da punto di contatto tra l’organizzazione avente sede extra-UE, le autorità di protezione dei dati dell’UE e con le persone i cui dati personali sono trattati (cd. Interessati). Benché il rappresentante non sia responsabile della conformità dell’organizzazione al GDPR e può essere comunque tenuto a collaborare con le autorità di protezione dei dati e ad assisterle nello svolgimento dei loro compiti. Ciò include rispondere alle richieste di informazioni da parte di persone i cui dati personali sono trattati dall’organizzazione e fornire informazioni alle autorità di protezione dei dati quando richiesto. Il rappresentante dell’UE ha anche la responsabilità di garantire che l’organizzazione conservi i registri delle sue attività di trattamento e di metterli a disposizione delle autorità di protezione dei dati su richiesta.

La mia azienda dovrebbe nominare un rappresentante UE?

L’obbligo per un’azienda di nominare un rappresentante nell’UE ai sensi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dipende da diversi fattori. Il GDPR richiede alle organizzazioni con sede al di fuori dell’UE che:

  • offrono beni o servizi a persone nell’UE, o
  • che monitorano il comportamento di persone nell’UE,

di nominare un rappresentante nell’UE se non hanno una presenza fisica o uno stabilimento all’interno del territorio dell’Unione.

Secondo le linee guida dell’EDPB (linea guida 3/2018), ci sono diversi fattori che devono essere presi in considerazione per determinare se un’azienda sta offrendo i propri beni o servizi a persone in un particolare territorio all’interno dell’UE. Alcuni di questi fattori sono:

  • utilizzare le lingue di una regione specifica o offrire pagamenti nella valuta di quella regione;
  • l’utilizzo di annunci pubblicitari di Google, Facebook o TikTok per rivolgersi a un mercato specifico, o qualsiasi altra attività di marketing diretta ai clienti di quel mercato;
  • l’utilizzo di domini di primo livello in tale mercato;
  • l’offerta di consegna di merci a persone nella regione europea.

Inoltre, è importante notare che il GDPR si applica a organizzazioni di tutte le dimensioni, quindi anche se la vostra azienda è piccola, potreste essere tenuti a nominare un rappresentante.

È sempre meglio consultare un consulente legale per determinare se la vostra azienda è tenuta a nominare un rappresentante UE.

Cosa succede se non viene nominato un rappresentante nell’UE ai sensi del GDPR?

Un’organizzazione con sede al di fuori dell’UE che è tenuta a nominare un rappresentante ai sensi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e non lo fa, può essere soggetta a sanzioni. Il GDPR prevede una serie di sanzioni amministrative, tra cui multe fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale dell’organizzazione, a seconda di quale sia il valore più alto, per le violazioni di alcune disposizioni del GDPR. La mancata nomina di un rappresentante ,quando questa è obbligatoria, può essere sicuramente annoverata tra le violazioni sanzionate dal Regolamento. Inoltre, le autorità di protezione dei dati dell’UE possono intraprendere altre azioni esecutive nei confronti dell’organizzazione, come richiedere la nomina di un rappresentante o sospendere o vietare il trattamento dei dati personali. Per questo motivo è di cruciale importanza che tutte organizzazioni extra-UE valutino se sono soggette a questo obbligo e di regolino di conseguenza, nominando un rappresentante.

Come nominare un rappresentante nell’UE?

Per nominare un rappresentante ai sensi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), la vostra azienda può procedere procedendo con i seguenti steps:

  • Identificare una persona o un’organizzazione con sede nell’Unione Europea (UE) che sia disposta e in grado di agire come rappresentante dell’UE della vostra azienda.
  • Far firmare al rappresentante UE un mandato scritto che delinei l’ambito delle sue responsabilità e la durata dell’incarico.
  • Conservate una copia del mandato, insieme a qualsiasi altro documento pertinente, come la prova dell’identità e della sede del rappresentante UE.
  • Mettete a disposizione le informazioni di contatto del rappresentante UE della vostra azienda sul vostro sito web e nella vostra politica sulla privacy, e fornitele a qualsiasi persona o autorità di protezione dei dati che ne faccia richiesta.

È importante sottolineare che il rappresentante UE deve avere sede nell’UE e deve essere facilmente accessibile alle persone e alle autorità di protezione dei dati. Il rappresentante deve inoltre essere in grado di comunicare nella lingua o nelle lingue utilizzate dalle persone e dalle autorità con cui interagirà. È inoltre importante assicurarsi che il rappresentante dell’UE sia in grado di adempiere alle proprie responsabilità ai sensi del GDPR e abbia familiarità con le attività di trattamento dell’organizzazione. È sempre consigliabile consultare un consulente legale per assicurarsi che la nomina di un rappresentante UE da parte della vostra azienda sia conforme al GDPR.