Pubblicati da Sara Brogioni

VENDITE COATTIVE E ANTIRICICLAGGIO: UNA RIFORMA UTILE?

La c.d. Riforma Cartabia ha cercato di innovare il processo civile con l’obiettivo della semplificazione, speditezza e razionalizzazione di quest’ultimo.

Dopo mesi dall’entrata in vigore della riforma stessa tuttavia è possibile fare un primo bilancio su ciò che effettivamente viene semplificato e ciò che in realtà, viene gravato da nuovi oneri.

Per quanto riguarda l’esecuzione forzata per coloro che si aggiudicano un immobile in sede esecutiva individuale o concorsuale, è stato introdotto un nuovo adempimento, sulla base della disciplina antiriciclaggio prevista dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, subordinando l’emissione del decreto di trasferimento all’avvenuta verifica del rispetto di tali obblighi.

Il decreto legislativo del 10 ottobre 2022 n. 149 ha introdotto un ulteriore comma all’art. 585 c.p.c. ai sensi del quale «nel termine fissato per il versamento del prezzo, l’aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza della responsabilità civile e penale prevista per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’articolo 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231» e ha modificato altresì l’art. 586 c.p.c. prevedendo che il decreto di trasferimento possa essere pronunciato alla duplice condizione dell’avvenuto pagamento del prezzo e del verificato «assolvimento dell’obbligo posto a carico dell’aggiudicatario dall’art. 585 comma quarto».

La normativa è entrata in vigore il 1° marzo 2023 e trova dunque applicazione per i decreti di trasferimento pronunciati all’esito di procedure esecutive immobiliari iniziate con pignoramento perfezionatosi a partire dalla suddetta data.

L’intento del legislatore è quello di evitare che le vendite coattive siano strumentali al reimpiego dei proventi illeciti, colmando il vuoto legislativo che esisteva: prima della riforma infatti, la giurisprudenza era si era determinata nell’escludere tale adempimento nelle procedure esecutive ritendendo  le verifiche introdotte dalla disciplina antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/07 non potessero applicarsi ai professionisti delegati e agli ausiliari del giudice non potendo definirsi né clienti né esecutori degli stessi, né infine effettivi titolari del rapporto bancario acceso quale conto della procedura esecutiva. 

Dal punto di vista strettamente operativo però il nuovo adempimento si tradurrà nel dovere dell’aggiudicatario di compilare un modello di intervista per l’adeguata verifica, somministrato dal professionista delegato al fine di fornire tutte le informazioni previste dall’art. 22 del d.lgs. 231/2007, autodichiarando di essere il titolare effettivo dell’acquisito e la provenienza delle somme a ciò funzionali.

Una volta acquisita tale dichiarazione nessun altro adempimento è posto a carico dell’ausiliario, il quale dovrà semplicemente raccogliere tale dichiarazione e depositarla con la minuta del decreto di trasferimento, non essendo prevista alcuna successiva attività, né tanto meno un qualche obbligo di segnalazione rispetto ad eventuali dichiarazioni anomale.

La verifica dell’esatto adempimento degli oneri informativi è quindi demandata al Giudice dell’esecuzione come condizione di pronunciabilità del decreto di trasferimento, ma non è da escludere che possa procedere con una segnalazione all’Autorità competente qualora se ne ravvisi gli estremi.

In mancanza di tale dichiarazione quindi il decreto di trasferimento non può essere emesso.

Si ritiene tuttavia il trasferimento dell’immobile potrà essere solo “ritardato” in assenza del deposito del modulo, e che tale adempimento non possa inficiare l’acquisto al pari del mancato versamento del saldo prezzo che, come noto, produce l’effetto della perdita della caparra e il suo incameramento a titolo di multa.

L’art. 587 c.1 cpc infatti non è stato intaccato dalla riforma e nessuna conseguenza è stata infatti prevista per l’inadempimento della verifica antiriciclaggio.

Se l’aggiudicatario rifiutasse in toto di assolvere questo adempimento allora è evidente che il professionista delegato dovrà necessariamente notiziare il Giudice dell’esecuzione il quale potrebbe disporre con decreto non reclamabile la revoca dell’aggiudicazione, la restituzione della cauzione e la prosecuzione della procedura con un nuovo esperimento di vendita alle medesime condizioni di quelle per cui vi è stata l’aggiudicazione poi revocata.

Al fine di non incorrere in ritardi ostruzionistici del trasferimento immobiliare, sarebbe necessario che l’aggiudicatario inadempiente venisse condannato al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita.

Il nuovo adempimento pertanto potrebbe produrre più effetti paralizzanti della procedura rispetto alle esigenze di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, che il legislatore ha dettato con la legge n. 206 del 26 novembre 2021.

Crisi Impresa: L’importanza dei dati

Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza è stata rivoluzionata la concezione di crisi d’impresa, passando da un precedente sistema incardinato essenzialmente nella soddisfazione dei creditori ad un nuovo approccio che mira a salvaguardare l’attività imprenditoriale e la continuità aziendale, per permettere di restare sul mercato a tutte le aziende che ne hanno le capacità e possibilità.

La nuova disciplina pone particolare attenzione al fatto che, ogni impresa dovrebbe poter anticipare un eventuale stato di crisi e intervenire tempestivamente per il risanamento della stessa, lasciando di fatto la liquidazione giudiziale quale extrema ratio.

In nuovi obblighi normativi

L’art. 3 del d.lgs. 14/2019 (Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa) prescrive all’imprenditore individuale di adottare “misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte” e all’imprenditore collettivo di “istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.

L’art. 2086 c.c.  è stato modificato con la previsione che “l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Gli organi delegati delle società e l’imprenditore in genere, devono quindi curare l’adeguatezza degli assetti, ed in particolare, al consiglio d’amministrazione spetta il compito di valutare tale adeguatezza, mentre ai sindaci quello di vigilare sulla stessa.

Secondo il Tribunale di Cagliari nella sentenza n. 188/2021 del 19 Gennaio 2022, con la quale detta importanti linee guida per la verifica di tale inadeguatezza, l’assenza di un adeguato assetto organizzativo rappresenta una grave irregolarità che deve essere immediatamente emendata e che può condurre alla revoca dell’organo amministrativo e alla nomina di un amministratore giudiziario.

La sentenza citata è importante in quanto focalizza l’attenzione dul fatto che, essendo tali assetti funzionali a evitare che l’impresa si trovi ad affrontare una crisi , la violazione di tale obbligazione e più grave per una società in situazione di equilibrio economico finanziario, in quanto proprio in tale stato fisiologico, è necessario intervenire per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative volte a intercettare tempestivamente i segnali di crisi, consentendo di assumere le iniziative opportune.

Sarà quindi necessario che ogni realtà aziendale metta in atto una seria attività di pianificazione, programmazione e controllo di gestione, quale componente del più ampio sistema amministrativo-contabile per soddisfare tale adempimento. Tale attività è rappresentata da un insieme di strumenti, processi e ruoli, finalizzati a favorire comportamenti che siano in linea con il raggiungimento degli obiettivi aziendali, agevolando la produzione di informazioni necessarie per effettuare le scelte gestionali.

Il mero acquisto di software e gestionali, se non vengono aggiornati con l’inserimento di dati in modo tempestivo, non produce alcun effetto, né sana alcun inadempimento.

Sarà quindi necessario procedere con un’attenta analisi dell’impresa, della sua struttura in concreto e sulla base della concreta realtà della stessa intervenire sull’introduzione di adeguati assetti amministrativi contabili, tramite l’introduzione di una contabilità analitica e gestionale con previsione di budget ad hoc, produzione di situazioni economico, finanziarie e patrimoniali infrannuali, ottenute partendo dai saldi contabili opportunamente integrati con le scritture di assestamento, per consentire la valutazione dello stato di salute dell’impresa ad un determinato istante, e per permettere  la valutazione della continuità aziendale.

Il fulcro di tale attività ovviamente risiede nei dati: la raccolta e la disponibilità di dati aggiornati, sia contabili che extracontabili, e la loro messa a disposizione di un “interprete” in modo tempestivo, che possa eseguire le valutazioni utili, è la vera forza di un’impresa sana.

E’ evidente quindi che anche il tema della crisi d’impresa si inserisce nella c.d. compliance integrata necessaria per la fruttuosa attività di ogni realtà aziendale.

La compliance integrata è infatti l’insieme regole e procedure e strutture organizzative volto a garantire una conduzione dell’impresa sana corretta e coerente con gli obiettivi.

Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, il Modello organizzativo e di Gestione ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001, la normativa sul trattamento dei dati personali (la c.d. privacy) e la normativa in matria di antiriciclaggio, ad esempio, sono tutte discipline pensate nell’ottica della prevenzione che non devono solo “convivere”, ma “parlare la stessa lingua”.

La corretta raccolta di dati e la loro corretta gestione pertanto è essenziale per ogni impresa.

Scaricare modelli prestampati dal web o acquistare software gestionali che non siano curati da nessuno all’interno dell’azienda, non proverà di possedere adeguati assetti organizzativi e potrebbe portare a condanne, anche pesanti, per responsabilità personali dell’imprenditore e degli amministratori, e ovviamente non impedirà l’emersione di un’eventuale crisi.

Se per le grandi aziende tale attività è economicamente sostenibile, per le piccole imprese o per l’imprenditore individuale tale sfida si rivela ardua, in quanto tale adeguamento potrebbe costare in termini economici esborsi tali da vanificare lo sforzo (e paradossalmente innescare una crisi).

Per le piccole realtà sarà quindi necessario educare l’imprenditore creando misure ad hoc con le risorse disponibili.

Può il ricorso all’intelligenza artificiale sopperire alle scarsità finanziaria di piccole imprese? E’ possibile immaginare una semplificazione della compliance integrata grazie alla tecnologia blockchain?

Quel che è certo, per il momento, è che il legislatore non tiene il passo dello sviluppo tecnologico e che il raccordo tra le diverse discipline è opera demandata sempre di più agli interpreti e ai giuristi, che devono affiancare l’imprenditore in ogni passo.

I diritti del Consumatore nel Web3

Gli interventi legislativi in materia di tutela del consumatore sono in netto ritardo rispetto alla realtà degli eventi che vede sempre più accelerarsi acquisti nel web3, in particolar modo considerata l’espansione di acquisto di NFT.

Gli obblighi informativi previsti dal Codice del Consumo e dal diritto europeo impongono ai professionisti che forniscono beni o servizi ai consumatori di fornire informazioni agli stessi in linguaggio chiaro e comprensibile, prima della conclusione del contratto.

L’assolvimento di tale obbligo può rivelarsi complesso in virtù del carattere innovativo di questi beni e comprendere per il consumatore cosa acquista realmente, senza un’adeguata opera di informazione preventiva potrebbe dar vita a un numero sempre maggiore di contenziosi.

Il legislatore europeo ha adottato norme specifiche applicabili ai contratti di fornitura di contenuti digitali, con la Direttiva (UE) 2019/771, recepita dal nostro ordinamento con il d.lgs. n. 170/21 che modifica il Codice del Consumo.

La nuova disciplina si occupa espressamente di “beni con elementi digitali” e cioè quei beni dotati di una componente digitale in assenza della quale non possono funzionare. La componente digitale può essere interna al bene, incorporata, o esterna, interconnessa, ma in entrambi i casi deve presentare il carattere della essenzialità per il bene, che non deve poter svolgere le proprie funzionalità senza l’elemento digitale.

Nello specifico contesto di vendita di beni digitali i nuovi requisiti soggettivi e oggettivi di conformità impongono che le caratteristiche del contenuto digitale devono corrispondere, rispettivamente, a quanto previsto dal contratto e a quanto si possa ragionevolmente ed oggettivamente attendere dal contenuto digitale stesso.

La direttiva europea inoltre stabilisce che il venditore deve garantire che al consumatore siano forniti gli aggiornamenti, compresi quelli di sicurezza, necessari per mantenere tali beni conformi per il periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto del tipo e della finalità dei beni e degli elementi digitali, nonché delle circostanze e della natura del contratto.

Il venditore dovrà quindi assolvere uno stringente obbligo informativo circa gli aggiornamenti disponibili in modo da andare esente da responsabilità per difetto di conformità nel caso in cui il consumatore, nonostante l’informazione ricevuta, non provveda agli aggiornamenti o installazioni necessarie.

Nel caso specifico di acquisto di NFT può ravvisarsi la non-conformità del bene quando il contenuto non è disponibile o è alterato.

Dubbi interpretativi circa la non conformità del bene invece si ravvisano quando l’NFT non presenti le caratteristiche di rarità promesse; la scarsità che attiene l’NFT è infatti fondamentale per la quantificazione del suo valore, e un grado di rarità nettamente inferiore rispetto a quanto atteso dal consumatore potrebbe rendere il bene non idoneo all’uso e pertanto non conforme secondo i requisiti soggettivi. 

Le condizioni contrattuali di vendita dell’NFT dovrebbero pertanto stabilire con precisione quale grado di rarità dovrà essere garantito in futuro per l’NFT alienato, e rispettare il requisito di buona fede e trasparenza contrattuale riguardo a molteplici altri questioni, spesso sottovalutate, quali, a mero titolo di esempio le eventuali conseguenze in caso di fallimento della blockchain e l’azione di risarcimento del danno.

Altra questione che sarà dirimente per l’applicazione delle tutele previste dalla normativa di protezione per il consumatore è risolvere, negli acquisti di NFT, la qualifica di consumatore.

Il codice del consumo, all’art. 3 definisce consumatore o utente “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

Nella prassi tuttavia assistiamo a un sempre più largo uso di NFT a scopo pubblicitario o di marketing, e la categoria degli acquirenti si divide in occasionali e acquirenti “speculativi” o “da collezione”, i quali potrebbero non essere considerati consumatori ma bensì “professionisti”.

Questa prima distinzione sarà la base per gli interpreti del diritto per l’applicazione di molteplici altre questioni che attualmente non trovano applicazione pratica in quanto le norme europee sulla tutela dei consumatori sono state concepite per la conclusione di contratti “tradizionali”, non tramite smart contract: si pensi alla questione delle c.d. clausole vessatorie e all’impossibilità della doppia sottoscrizione di clausole richiesta dall’art. 1341 c.c.; oppure al c.d. foro del consumatore, ad oggi è arduo stabilire il domicilio dell’acquirente/consumatore nel mondo crypto, proprio per l’anonimia che caratterizza gli ambienti blockchain.

Il nuovo Regolamento dell’Unione europea relativo ai mercati delle cripto-attività (Markets in Crypto-Assets Regulation, c.d. « MiCA ») potrebbe in parte fornire una soluzione, in quanto vieta l’anonimia dei possessori delle cripto-attività per l’ammissione a piattaforme di negoziazione, ma gli NFT saranno esclusi dall’ambito di applicazione, a meno che rientrino nelle categorie di cripto-attività esistenti. 

La Commissione europea avrà il compito di preparare una valutazione globale e, se lo ritiene necessario, una proposta legislativa specifica, proporzionata e orizzontale per creare un regime per gli NFT e affrontare i rischi emergenti di questo nuovo mercato.

Acquisto di NFT e diritto di recesso

Altra questione dirimente per la tutela del consumatore e gli acquisti nel web3, riguarda il diritto di recesso.

Ai sensi della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, il consumatore deve essere informato della possibilità e sulle modalità di esercizio il diritto di recesso, ovvero la facoltà di recedere da un contratto a distanza entro quattordici giorni, senza dover fornire alcuna giustificazione. 

Lo smart contract con cui viene solitamente venduto un NFT non permette l’esercizio del diritto di recesso, non essendo possibile arrestarne l’esecuzione per inadempimento o in caso di ripensamento.

Lo smart contract infatti utilizza la formula “if this/then that”in forza della quale, al verificarsi di un dato evento (this), si producono certi effetti (that), i quali sono predeterminati dalle parti medesime, sulla base di istruzioni rigide.

Nella prassi applicativa pertanto assistiamo a numerose transazioni a cui si affiancano condizioni contrattuali generali che esplicitamente escludono il diritto di recesso.

Tale esclusione viene giustificata facendo ricadere l’ipotesi di acquisto NFT nelle eccezioni previste nell’art. 59, lettere a), b) i), m) ed o) del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo). 

Al riguardo si ricorda che il diritto di recesso è escluso (lett. a) nei contratti di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista e (lett. b) nel caso in cui il bene del prezzo sia legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso.

Inoltre, il diritto di recesso è escluso (lett. i) con riferimento alla fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna, o  (lett. m) con riferimento ai contratti conclusi in occasione di un’asta pubblica.

Altra eccezione (lett. o) si ha per fornitura di contenuto digitale (come l’NFT) mediante un supporto non materiale (come ad es. una chiave privata per un NFT o altro codice di riscatto dell’NFT) se l’esecuzione è iniziata e, se il contratto impone al consumatore l’obbligo di pagare, qualora siano soddisfatte tre condizioni cumulative: 

  • il consumatore ha dato il suo previo consenso espresso a iniziare la prestazione durante il periodo di diritto di recesso;
  • il consumatore ha riconosciuto di perdere così il proprio diritto di recesso;
  • il professionista ha fornito la conferma della conclusione del contratto in conformità con le modalità previste dalla direttiva 2011/83/UE per i contratti a distanza.

Una possibile soluzione per permettere ai consumatori di esercitare il diritto di ripensamento potrebbe ricercarsi nel nuovo standard di NFT, che permetterebbe di garantire i relativi acquisti contro le truffe (meglio noti come “rug-pull”) nonché la possibilità di chiederne il rimborso in caso di recesso entro la scadenza del termine stabilito.

Con il termine rug-pull (letteralmente, “tiro del tappeto”) si indica un tipo di truffa che si verifica generalmente quando gli sviluppatori di un progetto, dopo aver creato il token crittografico, ne aumentano il valore al fine di attrarre il maggior numero di investitori possibili, per poi prelevare tutti i fondi ed abbandonare il progetto fraudolento.

Quando si parla di uno standard per NFT invece, si ricorda che ci si riferisce all’identificazione univoca di un token rispetto ad altri dello stesso smart contract, denominato “ERC-721”, introdotto, come noto nel 2017, da Ethereum, quale primo protocollo per la creazione di NFT e sino ad oggi il più utilizzato che rappresenta un bene unico ed infungibile.

La pubblicazione di un nuovo standard anti rug-pull, ERC-721R, ufficialmente rilasciato in data 11 aprile 2022 e volto, tra le altre cose, a contrastare i progetti fraudolenti nel settore degli NFT, potrebbe conferire all’utente un diritto di ripensamento rispetto al proprio acquisto e, quindi, vedersi rimborsato il prezzo corrisposto per l’NFT coniato (mintato).

In particolare, tale meccanismo avviene tramite un vincolo sul deposito delle somme poste a garanzia dallo smart contract. Tali fondi possono essere prelevati, dai creatori, solo dopo il decorso di un periodo di tempo (come i 14 giorni previsti per il diritto di recesso negli acquisti al di fuori dei locali commerciali) che consente agli acquirenti di restituire il proprio NFT e di ricevere un rimborso dal contratto intelligente sottoscritto.

Questa nuovo standard rappresenta una possibilità sia in termini di apertura verso soluzioni innovative riguardanti il diritto di ripensamento da parte dell’utente e il conseguente esercizio del diritto di recesso, sia in termini di garanzia verso alcune pratiche fraudolente: pur essendo l’acquisto dell’NFT irreversibile, se durante tale periodo di tempo i creatori decidono di fare rug-pull, gli acquirenti potranno richiedere il rimborso dei loro fondi entro la scadenza del periodo di attesa, perdendo solo le gas fees sostenute per i costi di transazione.

L’utilizzo di tale nuovo protocollo per la generazione di NFT, oltre che più vantaggioso per gli acquirenti, in quanto limiterebbe eventuali perdite alle sole commissioni per elaborare e convalidare le transazioni sulla blockchain, presenta una concreta opportunità per i fornitori di servizi commerciali per la promozione delle proprie attività anche nel mondo delle criptoattività, creando fiducia nel mercato ed attraendo un maggior numero di investitori.