Pubblicati da Beatrice Puliti

La rotazione degli appalti: analizziamo la norma per fare un po’ di chiarezza

Il principio di rotazione negli affidamenti è da sempre un principio cardine nel diritto pubblico. La ratio del legislatore è chiara ed inconfondibile: sottrarre alla disponibilità delle stazioni appaltanti quanta più discrezionalità possibile nella scelta dei contraenti e scoraggiare la fidelizzazione di rapporti economici fra enti e soggetti privati che mal si addice ai principi pubblicistici. Il principio in questione non è figlio dell’ultima riforma ma lo troviamo già sia nel “vecchio codice” sia nella giuda ANAC n. 4 punti 3.6.e 3.7 ampiamente riconosciuti come riferimento ad integrazione legislativa. Nel punto 3.6 ANAC ci sottolineava che “Si applica il principio di rotazione degli affidamenti e degli inviti, con riferimento all’affidamento immediatamente precedente a quello di cui si tratti, nei casi in cui i due affidamenti, quello precedente e quello attuale, abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, ovvero nella stessa categoria di opere, ovvero ancora nello stesso settore di servizi. In ogni caso, l’applicazione del principio di rotazione non può essere aggirata, con riferimento agli affidamenti operati negli ultimi tre anni solari…”. Il punto 3.7 specificava come il reinvito del contraente uscente dovesse avere comunque carattere eccezionale e quindi portare una “motivazione stringente”.

Il moderno art. 49 al comma I ribadisce il principio di rotazione come regola universale,salvo poi cedere ad una serie di eccezioni un attimo dopo. Iniziamo dal comma II secondo il quale “è vietato l’affidamento o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano a oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi”.

Se ad una prima lettura pare un ricalco della precedente normativa, così non è essendo chiaro che seguendo la linea guida n.4 il contrente uscente doveva essere escluso per almeno tre anni, mentre adesso gli basta saltare un turno di gara e di nuovo può essere dentro come tutti gli altri! Ma andiamo avanti.

Al comma III il medesimo articolo stabilisce che “la stazione appaltante, con proprio provvedimento, può ripartire gli affidamenti in fasce in base al valore economico e la rotazione si applica con riferimento a ciascuna fascia”. Qualora dunque le stazioni appaltanti provvedano alla redazione di tale regolamento il principio generale di rotazione diventa un principio relativo circoscritto a ciascuna fascia, potendo così gli enti, con una minima variazione degli importi di affidamento, continuare la collaborazione con l’ utente uscente…(!).

Comma IV: “ In casi motivati con riferimento alla struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative, nonché di accurata esecuzione del precedente contratto il contrente uscente può essere reinvitato o essere individuato quale affidatario diretto”.

La novità è evidente essendo ad oggi indicato meramente che “ in casi motivati ” (dicitura che già da sola lascia uno spazio di azione di ampio respiro perdendo anche la qualifica delle motivazioni stringenti richieste in passato) è possibile reinvitare il contraente uscente.

Il tentativo di limitare la discrezionalità con il riferimento alla struttura del mercato ed alla effettiva assenza di alternative è decisamente blando in quanto sono espressioni che potenzialmente possono contenere il tutto ma anche il suo contrario.

Dunque, ricapitolando, con il nuovo codice si è volutamente aperto uno spiraglio ( ma forse anche una porta) tanto alla libertà di scelta del contraente ( ad esempio per gli affidamenti sotto i 5.000,00 euro piò essere derogato anche il principio di rotazione), tanto alla possibile continuità nelle collaborazioni con le pubbliche amministrazioni. Questo senza voler giudicare la scelta effettuata, ma solo per focalizzare i principi con i quali si devono interfacciare gli addetti ai lavo.

DEBITI FUORI BILANCIO E PASSIVITA’ PREGRESSE: LE DIFFERENZE DA CONOSCERE PER SAPERSI ORIENTARE

Per chi opera quotidianamente con gli Enti locali è noto quanto sia frequente che determinate spese debbano essere registrate al di fuori delle normali procedure di impegno dovendo, dunque, l’Ente rivolgersi ad istituti quali il debito fuori bilancio e le passività pregresse. La scelta non è ovviamente discrezionale (anche se soggetta ad una parziale interpretazione che riguarda la natura del debito) ed ha precisi ed importanti riflessi riscontabili. Normativamente parlando i debiti fuori bilancio sono previsti e disciplinati dall’ art. 194 TUEL il quale li qualifica come una vera e propria eccezione da applicare ad ipotesi tassative quali: 

  • sentenze esecutive; 
  • copertura disavanzi di consorzi; 
  • ricapitalizzazioni di società di capitali per l’esercizio di servizi pubblici; 
  • procedure espropriative o di occupazione di urgenza; 
  • acquisizione di beni o servizi nei limiti delle accertate e dimostrate utilità di arricchimento. 

Ciò che è evidente nell’elenco sopra indicato è che i debiti fuori bilancio costituiscono, civilisticamente parlando, obbligazioni del tutto valide ed idonee a produrre effetti anche se contratte in assenza del necessario impegno di spesa proprio del diritto amministrativo. 

Onde evitare che questi debiti restassero estranei al bilancio dell’Ente, in aperto contrasto con il principio dell’universalità del bilancio il quale prescrive che tutte le entrate e le uscite vi debbono essere iscritte, il legislatore ha previsto una procedura ad hoc per il loro riconoscimento. La procedura coinvolge il Consiglio Comunale che è chiamato a pronunciarsi in quanto titolare del potere di vaglio e di utilità degli impegni assunti dall’ Ente Locale. 

Quanto alle passività pregresse queste sono previste dall’ art. 191 TUEL e qualificabili come spese relative all’ esercizio di loro manifestazione che sono state collocate all’ interno di un ordinario impegno di spesa ma, per fatti non prevedibili, non trovano idonea copertura. Il meccanismo di adeguamento in questo caso sarà una procedura ordinaria di spesa con eventuale variazione di bilancio. Evidente in questo caso la natura di incapienza della spesa. 

Delineati e chiariti i confini delle due fattispecie, è pacifico come sia fondamentale per l’adesione all’una o all’altra tipologia la qualifica del debito a monte delle due procedure, attività da delegare a tecnici ed esperti del settore onde procedere regolarmente al loro inquadramento.

Proroga tecnica negli appalti pubblici: presupposti di legittimità

Nell’ articolo di oggi proveremo a fare chiarezza su alcuni aspetti di questo strumento, apparentemente di carattere straordinario, che in realtà trova frequente applicazione all’ interno delle dinamiche delle pubbliche amministrazioni. 

Prima di analizzare quando questo istituto sia o meno provvisto di legittimità, occorre fare una preliminare distinzione tra la proroga tecnica e la proroga contrattuale, entrambe previste dal nuovo codice degli appalti. La prima è disciplinata nel D.lgs 36/2023 all’ art. 120 comma 11 e sussiste quando la durata del contratto viene modificata dall’amministrazioni per cause ad essa non imputabili né originariamente prevedibili, al solo scopo di garantire la continuità di un servizio essenziale nelle more della conclusione della procedura di gara per scegliere il nuovo contraente. Le caratteristiche principali della proroga tecnica, pertanto, sono la temporaneità e l’imprevedibilità essendo uno strumento “ponte” tra un regime contrattuale ed un altro. La cosiddetta proroga contrattuale, invece, prevista dal comma 10 e quindi tenuta ben distinta dalla precedente, trova la sua fonte direttamente nel contratto. Si tratta dunque di una clausola negoziale preventivata e prevista dall’amministrazione che vuole cristallizzare la possibilità delle parti di proseguire il rapporto sinallagmatico. Fatta questa doverosa distinzione: quando la propria tecnica ( dato che l’ altra è lasciata alla disponibilità delle parti) è legittima? Esistono dei presupposti per la sua adozione?

La risposta è ovviamente si. 

Tale istituto infatti, può essere utilizzato dalle amministrazioni solamente seguendo i seguenti passaggi:

  1. deve essere di carattere esclusivamente eccezionale, al quale fare ricorso quando non sia possibile avviare gli ordinari meccanismi concorrenziali. Il servizio in oggetto si deve pertanto connotare del carattere della necessarietà e del pubblico interesse paventando, in caso di interruzione dello stesso, un danno alla collettività;
  2. Deve essere necessario concretizzare il principio di continuità dell’ azione amministrativa;
  3. Deve essere temporanea ed esclusivamente adottata al fine di colmare il vuoto tra due contratti (contratto ponte); 
  4. La gara deve essere bandita prima dell’originaria scadenza contrattuale;
  5. L’ amministrazione non deve aver concorso a causare il ritardo della definizione del nuovo assetto contrattuale.

Tutte queste caratteristiche sono richiamate nella sentenza del Tar Veneto sez. II 11.03.24 n. 449 di recente pubblicazione dove il giudice amministrativo individua in maniera ancora più netta i confini dell’istituto già in passato delineati, ma adesso più che mai resi netti e vincolanti. I tecnici chiamati, pertanto, a dover ricorre a tale istituto dovranno sempre verificare la sussistenza dei presupposti indicati per non incorrere in una dichiarazione di illegittimità.

L’imminente scadenza del piano triennale di prevenzione della corruzione e trasparenza: cosa cambia con il nuovo codice degli appalti

l nuovo codice dei contratti pubblici, entrato in vigore il primo aprile 2023 con D.Lgs n. 36, ha offerto agli utenti non solamente un testo unico di riferimento in materia di appalti pubblici, ma ha rivoluzionato, in alcuni casi, il panorama normativo introducendo principi guida quali risultato, fiducia, accesso al mercato e trasparenza. Proprio in relazione a questo ultimo criterio cardine del diritto pubblico non può non venire chiamato in causa il Piano della prevenzione della corruzione e trasparenza che le singole amministrazioni devono obbligatoriamente pubblicare ogni anno al fine di rendere evidente, trasparente e dimostrato quanto al loro interno ci sia un contenimento del rischio corruttivo. 

Ma andiamo per gradi. Che cosa è il PTPCT in breve? C’ è un termine entro il quale pubblicarlo? Con il D.Lgs n. 36/23 sono cambiate le disposizione per la sua redazione e pubblicazione? La prima domanda (forse scontata per chi si accinge a leggere un articolo del genere!) è presto soddisfatta: il PTPCT è un atto che individua, sulla scia del piano nazionale anticorruzione che ANAC ha adottato per la prima volta nel 2013 come atto di indirizzo, il grado di esposizione dell’amministrazione che lo adotta al rischio corruttivo indicando le misure che adotta per prevenire e trattare il rischio stesso. La sua articolazione, ridotta ad una sinterizzazione massima, può essere così suddivisa: analisi del contesto, valutazione dei rischi, loro trattamento. Enti ed amministrazioni hanno un termine annuale per la pubblicazione del Piano ed è il 31/01 di ogni anno, salvo eventuali proroghe ( per gli enti locai ad esempio il termine ultimo è è fissato al 15/04/24). Importante semplificazione degna di rilievo è prevista per gli enti con meno di 50 dipendenti i quali dopo la prima adozione possono confermare nel triennio la programmazione adottata nell’anno precedente qualora non siano emersi fatti corruttivi o non siano state introdotte modifiche organizzative.Tale conferma deve risultare da atto motivato dell’organo di indirizzo. 

Quanto alle novità introdotte dal nuovo codice degli appalti non può non rilevare l’enorme impatto della digitalizzazione del sistema degli appalti sugli obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni che puntualmente ANAC ha cristallizzato nella delibera 601 del 19/12/2023 che ha integrato la 264 del 20/06/2023, nonché le modalità di pubblicità legale degli atti. La digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti, infatti, comporta che le fasi di programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione vengano gestite mediante piattaforme di approvvigionamento digitale certificate, fatto che implica una trasparenza totale di tutte le fasi di vita del contratto. L’ obbligo di pubblicità per ogni genere di appalto e contratto pubblico viene assicurato mediante la Piattaforma per la pubblicità legale, che sarà parte della Banca Dati ANAC, e non più attraverso la Gazzetta Ufficiale. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti compilano, dunque, sulla piattaforma, i bandi e gli avvisi secondo i nuovi formulari europei (“eforms”) o secondo modelli predisposti per la pubblicazione sulla Banca Dati Nazionale Contratti Pubblici. Dal momento della pubblicazione le stazioni appaltanti dovranno rendere accessibili i documenti di gara, garantendo l’accesso fino al completamento della procedura e all’esecuzione del contratto. Con il nuovo sistema gli effetti giuridici degli atti oggetto di pubblicazione decorreranno dalla data di pubblicazione nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Va da sé che queste differenti previsioni hanno un impatto incisivo sulla mappatura dei processi di analisi del rischio da valutare in fase di stesura del piano di prevenzione della corruzione, dando vita non solo a differenti fattispecie di rischi corruttivi, ma anche a molteplici ed ulteriori tecniche di prevenzione dei medesimi. 

Queste in estrema sintesi alcune novità in vista della ormai prossima scadenza del 31/01/24 per la pubblicazione del PTPCT. Auguriamo a tutti gli interessati un buon lavoro nel confrontarsi con la nuova normativa!

IL BILANCIO DI SOSTENIBILITA PER LE PARTECIPATE PUBBLICHE

Il bilancio di sostenibilità è diventato oggi uno dei documenti più attuali all’ interno del mondo societario e lo diventerà sempre di più a partire da gennaio 2024 quando sarà reso obbligatorio per molte altre grandi aziende. 

Questo non potrà non avere effetti a cascata anche sulle PMI che, seppur non obbligate, possono trarre evidenti benefici in termini pratici ed economici dalla redazione di questo documento. 

La positività di questo adempimento si può riflettere a fortiori sulle società partecipate pubbliche che intendano adottarlo, ma andiamo per gradi.

Che cosa è il bilancio di sostenibilità?

Il bilancio di sostenibilità è un documento rivolto a tutti gli stakeholder o comunque portatori di interesse verso l’azienda (dipendenti, fornitori, clienti investitori, finanziatori ecc..) che comunica gli impegni – e i risultati – presi nell’ambito della responsabilità d’impresa. 

Questo documento deve, quindi, fornire una rappresentazione della performance di sostenibilità di un’organizzazione relazionando sugli impatti positivi e negativi generati dalla propria attività nei cinque ambiti richiamati dal la direttiva 2014/95/UE ossia: lotta alla corruzione attiva e passiva, ambiente, personale, sociale, diritti umani. 

Si può comprendere, dunque, quanto sia un documento che fotografa e cristallizza l’impegno aziendale su temi sempre più attuali e rilevanti implicando l’assunzione di responsabilità (accountability) e la relativa sua comunicazione, in relazione al rapporto tra performance dell’organizzazione ed obiettivi dello sviluppo sostenibile. 

Quali sono i vantaggi del bilancio di sostenibilità?

Il riflesso pratico che si genera per le società è dato dal minor vincolo del capitale e da un evidente risparmio sui costi.

In relazione a quest’ ultimo aspetto si intende, nello specifico, un aumento delle probabilità di raggiungere gli obiettivi prefissati impegnando l’azienda in una rilevazione e  rendicontazione periodica di dati sulla gestione e sull’ andamento della stessa, un miglioramento dell’ efficacia e dell’ efficienza operative nonché una fidelizzazione del personale dipendente che si trova fortemente motivato da un ambiente di lavoro migliore.  

Queste caratteristiche del bilancio di sostenibilità e le sue positive conseguenze per le aziende che lo adottano non possono che essere, per una società pubblica, un motivo in più per adottarlo. 

Infatti, seppur vero è che l’esistenza del bilancio sociale si avvicina per certi aspetti alla medesima concezione, possiamo ritenere che il bilancio di sostenibilità sia una forma di evoluzione di quello sociale che essendo improntato totalmente alla trasparenza, si immedesima immediatamente con i principi pubblicistici. 

Si può comprendere dunque come, nel perseguire i suoi target principali in conformità agli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), una società pubblica contribuisca inevitabilmente al miglioramento della vita delle persone che appartengono al gruppo sociale di riferimento, realizzando, così un interesse pubblico.

Se a questo si aggiunge il fatto che in caso di adozione sussistono potenziali agevolazioni economico-finanziarie ( con conseguenti ripercussioni positive in termini di investimenti per migliorare/aumentare i servizi erogati alla comunità interessata) si potenzia ancor di più il profilo di interesse pubblico che può assumere. 

Conclusioni

Concludendo è questo il motivo per cui la maggior parte delle società partecipate, seppur non obbligate dalla disciplina normativa, stanno adottando questa tipologia di documento che eleva gli interessi pubblici secondo criteri di sostenibilità, legalità e trasparenza e che rende gli enti pubblici in perfetta sincronia con l’evoluzione socio culturale che sta attraversando l’ Europa. 

Il RUP nel nuovo codice degli appalti

Nuovo RUP e vecchio RUP: la continuità dell’acronimo non aiuta a denotare il cambiamento che il decreto legislativo n. 36/2023 ha operato (per alcuni in maniera proficua per altri meno) in relazione alla figura indicata.

In realtà il nuovo codice degli appalti pubblici, che sta progressivamente sostituendo il precedente codice, ha notevolmente cambiato principi, figure professionali e procedure appartenenti alla pregressa disciplina. 

Uno di questi cambiamenti ha interessato, appunto, il RUP ( prima responsabile unico del procedimento adesso responsabile unico del progetto) al quale il nuovo codice ha riservato, oltre agli articoli del decreto, l’allegato I.2 disciplinandone modalità di individuazione, requisiti di professionalità e compiti.

Quello che certamente non si può negare è la sempre più netta definizione di questa figura professionale quale project manager ( già in precedenza il RUP aveva subito le influenze di una visione sempre più affine al project manager come suggerito dalla direttiva europea di public procurement  recepita da ANAC con la linea guida n. 3 determina 1097/2016 poi aggiornata con il codice degli appalti D.lgs 56/2017 con la linea guida n. 3 determina n. 1007/2017) che possa seguire la realizzazione di un’opera pubblica dalla sua programmazione fino alla sua realizzazione.

Il project management si focalizza, infatti, sulla triangolazione tra tempi, costi e qualità di prestazioni, che sono tre aspetti che possono essere in contraddizione tra loro e per tale motivo devono essere gestiti e regolamenti con estrema competenza (diminuire i costi, ad esempio, vuol dire aumentare i tempi e generare incertezza sullo standard qualitativo).

Questi, oggi più che mai, sono divenuti elementi cardine nell’attività delle P.A. basti pensare, ad esempio, a quelle da svolgere in relazione o come conseguenza del PNNR il quale impone dei vincoli temporali stringenti da rispettare ai quali in Italia non siamo abituati, per cui è necessario che “gli addetti ai lavori” siano formati in questa ottica per poter compiere un salto di qualità su questo versante.

Per tale ragione (forse) il nuovo Codice avrebbe dovuto essere più tassativo nell’indicare delle specifiche competenze tecniche da dover riscontrare in una figura così apicale piuttosto che richiedere semplicemente “un titolo di studio di livello adeguato ed esperienza professionale di uno/tre anni”.

A fortiori in considerazione del fatto che una delle principali novità della riforma in relazione a questa figura consiste nel fatto che lo stesso RUP non si occuperà più del procedimento come unica fase, ma supervisionerà e coordinerà, nell’ottica di un principio di risultato, le varie fasi (nelle quali verranno nominati dei singoli responsabili) preordinate alla realizzazione di un progetto, accentuando sempre di più l’aspetto manageriale e di responsabilità. Resta in capo al RUP, infatti, la responsabilità di assicurare il completamento dell’intervento pubblico nei termini preordinati, rispondendone sia in caso di mancata stipulazione del contratto sia in caso di tardività dell’esecuzione del medesimo. 

Fermo restando che la nomina non può essere rifiutata, l’art. 15 comma 6 prevede, però, che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possano destinare risorse finanziarie non superiori all’1 % dell’importo posto a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di incarichi di assistenza al medesimo. Ovviamente i servizi che il RUP può affidare direttamente sono servizi tecnici o legali, con lo scopo di gestire al meglio l’appalto, ma resta fermo il fatto che si lasciano alla sua discrezionalità affidamenti diretti potenzialmente elevati.

Per tale ragione l’ANAC ha già sollevato perplessità in relazione alla norma in questione. 

In linea di principio si può notare come le modifiche apportate siano volte tutte alla maggior responsabilizzazione (senza innalzamenti dei livelli di competenza di base però!) della figura con conseguente dilatazione dei suoi poteri discrezionali, fatto che in ambito pubblico può sempre divenire un’arma a doppio taglio.

Per tale ragione il consiglio a chi si appresta a ricoprire tale ruolo è quello di implementare al meglio la propria formazione al fine di muoversi in modo autonomo e consapevole all’interno del sistema pubblico.

La timeline del nuovo codice degli appalti pubblici

Il nuovo codice degli appalti pubblici ha indubbiamente ridisegnato lo scenario cristallizzato per circa sette anni dal Dlgs n. 50/2016.

Oltre a qualificare i soggetti attivi del diritto pubblico, a riquantificare le soglie nelle gare di appalto, ad adeguare le pubbliche amministrazioni all’era della digitalizzazione (e molto altro ancora), si è occupato di coordinare gradualmente il passaggio di testimone dal vecchio al nuovo codice, in modo da consentire agli operatori un adeguamento step by step alla nuova disciplina.

Nonostante, infatti, il Dlgs n. 36 del 2023 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo 2023 sia entrato ufficialmente in vigore il 1 aprile 2023, le sue disposizioni, così come specificato ex articolo 229 del medesimo codice, acquisiranno la loro efficacia, e quindi saranno in grado di spiegare i propri effetti, solo dal 1 luglio 2023.

Oltre a questi due riferimenti temporali è previsto anche un periodo transitorio con scadenza al 31 dicembre 2023 durante il quale vengono applicate disposizioni sia del vecchio codice, sia dei decreti legislativi di semplificazione e semplificazione bis.

Questa molteplicità di date, nonché l’arco temporale di convivenza del “vecchio con il nuovo” genera, come è ben comprensibile, una situazione (almeno all’apparenza) di incertezza normativa  nell’ individuare quali norme devono essere applicate dagli operatori del settore pubblico. 

Il primo passaggio, che è anche quello più semplice, consiste nel comprendere la disciplina dei procedimenti in corso alla data del 1 aprile 2023 (nello specifico per procedimenti in corso si intende procedure e contratti con bandi o già pubblicati o per cui siano stati già inviati gli avvisi a presentare le offerte, nonché procedure per le quali è stato formalizzato l’incarico di progettazione). Per questi, come generalmente accade, non si applicano le norme del Dlgs 36/23 ma restano in vigore quelle del precedente codice.

Medesima disciplina vale per i procedimenti avviati prima del 1 luglio 2023 (e dopo il 1 aprile 2023) data che costituisce l’unico riferimento per l’abrogazione della vecchia normativa.

Gli articoli del vecchio codice, dunque, che continueranno ad essere maggiormente utilizzati saranno l’articolo 70 relativo a gli avvisi di pre informazione, l’articolo 72 relativo alla redazione e modalità di pubblicazione dei bandi degli avvisi, l’ articolo 73 riguardante la pubblicazione a livello nazionale articolo 127 comma due e 129 comma quattro relativo a bandi di gara e avvisi di appalti aggiudicati. 

Per i procedimenti incardinati successivamente alla data in cui diventano efficaci le norme del nuovo codice, invece, si applicherà la nuova disciplina ad eccezione di determinati articoli della precedente disciplina che “decadranno” solo al 31/12/2023 dando origine al cosi detto periodo transitorio di convivenza dei due codici.

Durante questo arco temporale resteranno in vigore, oltre a gli articoli precedentemente individuati, altri articoli che riguarderanno per lo più specifiche attività tecniche.

Le attività interessate sono, ad esempio, la redazione o acquisizione degli atti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, accesso alla documentazione di gara, presentazione del documento di gara unico europeo, presentazione delle offerte, apertura e conservazione del fascicolo di gara, controllo tecnico contabile e amministrativo dei contratti anche in fase di esecuzione, nonché la gestione delle garanzie.

A partire dal 1 gennaio 2024, comunque, anche per le sopra elencate attività acquisteranno efficacia gli articoli del nuovo codice degli appalti e nello specifico gli articoli da 19 a 31,35, 36, 37, 81,83, 84,85, 99,106 comma 3,115 comma 5,119 comma 5,224 comma 6.

Analizzando la timeline appena illustrata si può facilmente comprendere quanto la preoccupazione che un passaggio eccessivamente veloce alle nuove regole potesse bloccare il sistema degli appalti, invertendo completamente l’effetto pratico della riforma, abbia portato a generare una disciplina complessa (rimane in vita nel periodo transitorio anche il codice De Lise!) , frammentata e conseguentemente mal definita. 

Il consiglio pratico per chi si approccia, dunque, alla nuova disciplina è quello di procedere ad una attenta analisi delle operazioni o attività che si è chiamati ad espletare al fine di poter individuare correttamente il proprio ambito operativo e comprendere se questo, sia a livello temporale che di contenuti, sia stato (già) toccato dalla riforma. 

Bandi pubblici e gare d’appalto in Italia: come orientarsi?

Se quando iniziai a collaborare con le Pubbliche Amministrazioni fosse arrivato qualcuno con una guida essenziale su come muoversi in materia di bandi pubblici e gare di appalto ne sarei stata entusiasta. Con questo non voglio certo promuovere uno strumento di lavoro completo (per quello ci sono dei signori manuali ai quali dedicare il tempo che a loro spetta), bensì tracciare una road map per chi si approccia al complesso mondo del mercato pubblico.

Il MEPA

Partendo dal presupposto che lo scopo di una P.A. è quello di perseguire interessi di pubblico rilievo, si può ben comprendere come il mercato al quale la stessa si rivolge debba essere trasparente e strettamente regolamentato, in modo da permettere, a chiunque ne abbia interesse, di collaborare secondo i principi di concorrenza paritaria e non discriminazione. È da questa consapevolezza che nasce MEPA (Mercato Elettronico per le Pubbliche Amministrazioni), il mercato digitale in cui la domanda delle P.A. e l’offerta delle imprese abilitate si incontrano, il tutto sotto la supervisione della Consip che gestisce gli scambi all’interno della piattaforma per conto del Mistero dell’Economia e delle Finanze. Come per tutte le compravendite, ovviamente, le regole che le disciplinano sono state differenziate dal legislatore in base al valore dei beni oggetto di contrattazione, ed è per questo che sono state previste alcune suddivisioni di matrice puramente economica.

Gli affidamenti diretti

Partiamo dalla prima settorializzazione, la più semplice, quella con i minori obblighi, che permette alle parti di avere una certa discrezionalità a vantaggio di una maggior leggerezza burocratica che si traduce in maggior efficienza: per gli acquisti inferiori o uguali a 5.000,00 euro non vige l’obbligo di acquisto tramite il sistema elettronico. Questo, tradotto in termini ancor più pratici, significa che non saranno necessari bandi di gara o indagini di mercato per individuare il fornitore “giusto” . Primo elemento da chiarire: 5.000,00 al netto di IVA o no? Il valore di riferimento è da computare senza IVA che si aggiungerà, dunque, all’importo impegnato solo in fase successiva.

La procedura semplificata per gli affidamenti diretti

Detto questo il RUP o il Dirigente che si accinge ad effettuare un acquisto entro la soglia indicata, potrà rivolgersi al fornitore che ritiene opportuno osservando solo il principio di rotazione per la fascia compresa tra i 1.000,00 ed i 5.000,00, mentre, se inferiore al limite minore, può derogare anche a tale principio offrendo in comunicazione solo una  sintetica motivazione. Da parte sua il fornitore potrà “aggiudicarsi” il contratto sottoscrivendo un’autodichiarazione con la quale attesta che come operatore economico è integerrimo ed affidabile (non ha riportato condanne penali, è in regola con il pagamento delle tasse e dei contributi, non ha commesso di infrazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed altre prescrizioni ex art. 80 del Codice degli Appalti Pubblici ). 

Il nostro Dirigente, a questo punto, dovrà solo assicurarsi di consultare il casellario ANAC, di verificare la sussistenza del Durc al momento della sottoscrizione, nonché di verificare le condizioni soggettive o di idoneità a contrarre con le P.A.. I controlli di cui all’ art. 71 DPR 445/2000, relativi alla sussistenza dei requisiti dichiarati nelle autocertificazioni, sono obbligatori per le P.A. ma effettuabili anche con modalità a campione, sempre in misura proporzionale al rischio e all’entità del beneficio.

Evase le verifiche con esito positivo, le parti potranno provvedere alla redazione del contratto in forma semplificata,  anche “mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere o tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi” ex art. 32 comma 14 CAP. L’unico obbligo prescritto consiste nell’inserimento, all’interno del contratto, delle clausole di risoluzione in caso di inesistenza dei requisiti dichiarati, alle quali si può aggiungere la previsione di una trattenuta della cauzione o l’applicazione di una penale in misura non inferiore al 10% del valore del contratto. 

Conclusioni

In conclusione vorrei condividere solo un mio personale consiglio volto alla massima tutela delle posizioni dirigenziali che devono sottoscrivere contratti pubblici: per ogni acquisto sotto la soglia oggetto di questo articolo, è raccomandabile, comunque, la formazione di piccoli fascicoli all’interno dei quali vengono inseriti alcuni preventivi (ergo vengono effettuate delle indagini di mercato) per comprendere se il prezzo richiesto dal fornitore di volta in volta individuato è in linea con i costi del settore. 

Fortemente sconsigliabile, invece, il frazionamento di incarichi palesemente unici per rimanere nella fascia descritta svincolati dall’obbligatorietà del bando. 

Questa costituisce la cristallizzazione dei punti essenziali della prima fascia di acquisto/vendita di beni e servizi  in ambito pubblico; in virtù dell’esiguità del valore questa è stata concepita, come già sottolineato, in maniera molto lineare e semplificata. Nel prossimo articolo si potrà già vedere come si articolano maggiormente i passaggi andando a relazionarsi con il MEPA, sia per la gestione pratica del portale, sia per le diverse esigenze tecniche e normative che si devono conoscere.