Dalla dichiarazione non finanziaria al reporting di sostenibilità: le principali innovazioni introdotte dalla Corporate Sustainability Reporting Directive

Il Decreto Legislativo 6 settembre 2024, n. 125 ha recepito la Corporate Sustainability Reporting Directive (Direttiva n. 2022/2464 del 16 dicembre 2022), che si inserisce all’interno del percorso giuridico seguito dall’Unione Europea volto alla costruzione di un sistema normativo che realizzi lo sviluppo sostenibile tramite un progressivo coinvolgimento delle società. 

Introducendo nei confronti  delle realtà imprenditoriali una serie di obblighi e doveri,  il ruolo delle imprese si sta evolvendo nel senso di smettere di agire esclusivamente come soggetti  con interessi privati ed iniziare confrontarsi con tematiche di rilevanza globale, tramite l’adozione di misure finalizzate all’attuazione di un modello di “impresa sostenibile”. 

In questa prospettiva, il legislatore europeo ha ritenuto intervenire sin da subito mediante la previsione di obblighi di trasparenza in capo alle società rispetto al perseguimento di politiche socialmente sostenibili.  

Alle imprese è richiesto di effettuare una disclosure  circa il loro impegno ad agire adottando strategie aziendali che siano in linea con obiettivi di lungo periodo e che prendano in  considerazione anche fattori sociali e ambientali, in un’ottica di accrescimento della fiducia degli investitori e di una significativa porzione della società civile che esige l’assunzione di una maggiore responsabilità sociale di impresa da parte delle aziende. 

In questo senso, la Direttiva 2014/95 chiedeva ad alcuni tipi di società di grandi dimensioni di redigere una dichiarazione di carattere non finanziario, all’interno della quale trasmettere “almeno le informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività”. 

La dichiarazione di carattere non finanziario, ai sensi del sovracitato atto normativo, doveva  contenere indicazioni circa le politiche applicate relativamente agli aspetti menzionati, la motivazione dell’eventuale assenza di tali strategie e i potenziali rischi legati all’attività d’impresa circa la tutela delle prerogative oggetto della predetta dichiarazione. 

In questo contesto, è intervenuta la Corporate Sustainability Reporting Directive, ponendosi l’obiettivo di attribuire una maggiore rilevanza e autorevolezza alla dichiarazione non finanziaria, nonché quello di armonizzare le discipline degli Stati membri allo scopo di rendere le informazioni contenute nella dichiarazione massimamente suscettibili di essere comparate, misurate e verificate. 

Partendo da un’importante questione terminologica, il legislatore europeo sottolinea come sia  non solo opportuno, ma addirittura necessario sostituire il termine “rendicontazione non finanziaria” con “rendicontazione di sostenibilità”. Questo perché, come spiegato nel Considerando n.8, sarebbe fuorviante ritenere che la rendicontazione resa circa il rispetto delle politiche ambientali e sociali non abbia un impatto finanziario. Anzi, emerge dall’esperienza come gli investitori siano sempre più interessati all’impatto socio-ambientale delle società, confermando la potenziale incidenza della rendicontazione sulla profittabilità dell’impresa.  

Un’ulteriore modifica di primario interesse consiste nella decisione di integrare obbligatoriamente la relazione sulla gestione con la rendicontazione di sostenibilità, nei termini descritti dall’art. 2 del d.lgs. 125/2024, rispettando i principi di rendicontazione. 

La CSRD ha, infatti, delegato la Commissione di redigere dei principi di rendicontazione applicabili da tutti gli Stati membri, al fine di  garantire che le dichiarazioni fornite dalle imprese siano pertinenti, affidabili, comparabili e comprensibili. L’obiettivo principale è migliorare la qualità e la coerenza delle informazioni di sostenibilità, facilitando così la valutazione delle performance ESG da parte degli investitori e di altri stakeholder. La Commissione, previa consultazione dell’EFRAG, ha delineato i principi di rendicontazione all’interno del Regolamento Delegato UE 2023/2772.

Nell’ottica di rendere il rispetto della disciplina inerente alla dichiarazione di sostenibilità più significativo ed incisivo, la Direttiva del 2022 ha altresì introdotto l’obbligo per gli Stati membri di prevedere dei controlli riguardo la conformità delle informazioni fornite agli standard e ad ulteriori regole, tramite un’attestazione di rendicontazione. 

Sebbene il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 prevedesse già -anticipando la Direttiva- un obbligo di controllo della conformità della dichiarazione non finanziaria, il Decreto 125/2024 ha adeguato l’oggetto del controllo alle disposizioni introdotte dal legislatore europeo.

L’ultima  innovazione qui esaminata apportata dalla Direttiva 2022/2464 riguarda il progressivo ampliamento della sfera soggettiva delle imprese obbligate a pubblicare una disclosure  di sostenibilità.

Dal 2026, infatti,  saranno incluse tra i soggetti destinatari degli obblighi di rendicontazione  non solo le grandi società, ma anche le  piccole e medie imprese quotate (PMI), ad eccezione delle “microimprese”. Per le PMI si è riconosciuta la necessità di introdurre l’applicazione gradualmente, tramite la predisposizione di due agevolazioni: la limitazione della rendicontazione a un numero ridotto di elementi essenziali e la possibilità di posticipare l’adempimento completo fino all’esercizio finanziario 2028.

Nonostante questo, non è complesso comprendere le importanti conseguenze che verranno gradualmente prodotte dall’ampliamento della portata applicativa. 

Le novità introdotte dalla Corporate Sustainability Reporting Directive e la recente pubblicazione della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, approvata a giugno 2024, dimostrano come l’Unione Europea sia sempre più intenzionata e orientata verso la riconfigurazione del ruolo delle imprese in un’ottica più sostenibile e responsabile.

Questa prospettiva apre numerose riflessioni sul nostro modello di società e di governance, richiedendo all’organo amministrativo di adottare misure che realizzino interessi non puramente “sociali” e di dimostrare l’adozione di tali misure tramite gli obblighi di trasparenza contenuti nella CSRD, rafforzando l’accountability  della società.

 L’informativa a carattere non finanziario – Borsa Italiana; Calvosa, La sfida della sostenibilità, Riv. dir. soc., 1, 2024; Rimini, Sostenibilità e nuova governance delle imprese azionarie nel diritto interno e comunitario tra realtà, criticità e prospettive, Giur. Comm., 2024, fasc.2, 285. ; Salerno, Gli obblighi di “attestazione” della rendicontazione di sostenibilità nella CSRD, Il nuovo diritto delle società, 2,2024, 261; Cagnasso, Impresa e sostenibilità – Sostenibilità socio ambientale e sostenibilità finanziaria nella prospettiva delle P.M.I, Giurisprudenza Italiana, 5, 2024, 1229.

VENDITE COATTIVE E ANTIRICICLAGGIO: UNA RIFORMA UTILE?

La c.d. Riforma Cartabia ha cercato di innovare il processo civile con l’obiettivo della semplificazione, speditezza e razionalizzazione di quest’ultimo.

Dopo mesi dall’entrata in vigore della riforma stessa tuttavia è possibile fare un primo bilancio su ciò che effettivamente viene semplificato e ciò che in realtà, viene gravato da nuovi oneri.

Per quanto riguarda l’esecuzione forzata per coloro che si aggiudicano un immobile in sede esecutiva individuale o concorsuale, è stato introdotto un nuovo adempimento, sulla base della disciplina antiriciclaggio prevista dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, subordinando l’emissione del decreto di trasferimento all’avvenuta verifica del rispetto di tali obblighi.

Il decreto legislativo del 10 ottobre 2022 n. 149 ha introdotto un ulteriore comma all’art. 585 c.p.c. ai sensi del quale «nel termine fissato per il versamento del prezzo, l’aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza della responsabilità civile e penale prevista per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’articolo 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231» e ha modificato altresì l’art. 586 c.p.c. prevedendo che il decreto di trasferimento possa essere pronunciato alla duplice condizione dell’avvenuto pagamento del prezzo e del verificato «assolvimento dell’obbligo posto a carico dell’aggiudicatario dall’art. 585 comma quarto».

La normativa è entrata in vigore il 1° marzo 2023 e trova dunque applicazione per i decreti di trasferimento pronunciati all’esito di procedure esecutive immobiliari iniziate con pignoramento perfezionatosi a partire dalla suddetta data.

L’intento del legislatore è quello di evitare che le vendite coattive siano strumentali al reimpiego dei proventi illeciti, colmando il vuoto legislativo che esisteva: prima della riforma infatti, la giurisprudenza era si era determinata nell’escludere tale adempimento nelle procedure esecutive ritendendo  le verifiche introdotte dalla disciplina antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/07 non potessero applicarsi ai professionisti delegati e agli ausiliari del giudice non potendo definirsi né clienti né esecutori degli stessi, né infine effettivi titolari del rapporto bancario acceso quale conto della procedura esecutiva. 

Dal punto di vista strettamente operativo però il nuovo adempimento si tradurrà nel dovere dell’aggiudicatario di compilare un modello di intervista per l’adeguata verifica, somministrato dal professionista delegato al fine di fornire tutte le informazioni previste dall’art. 22 del d.lgs. 231/2007, autodichiarando di essere il titolare effettivo dell’acquisito e la provenienza delle somme a ciò funzionali.

Una volta acquisita tale dichiarazione nessun altro adempimento è posto a carico dell’ausiliario, il quale dovrà semplicemente raccogliere tale dichiarazione e depositarla con la minuta del decreto di trasferimento, non essendo prevista alcuna successiva attività, né tanto meno un qualche obbligo di segnalazione rispetto ad eventuali dichiarazioni anomale.

La verifica dell’esatto adempimento degli oneri informativi è quindi demandata al Giudice dell’esecuzione come condizione di pronunciabilità del decreto di trasferimento, ma non è da escludere che possa procedere con una segnalazione all’Autorità competente qualora se ne ravvisi gli estremi.

In mancanza di tale dichiarazione quindi il decreto di trasferimento non può essere emesso.

Si ritiene tuttavia il trasferimento dell’immobile potrà essere solo “ritardato” in assenza del deposito del modulo, e che tale adempimento non possa inficiare l’acquisto al pari del mancato versamento del saldo prezzo che, come noto, produce l’effetto della perdita della caparra e il suo incameramento a titolo di multa.

L’art. 587 c.1 cpc infatti non è stato intaccato dalla riforma e nessuna conseguenza è stata infatti prevista per l’inadempimento della verifica antiriciclaggio.

Se l’aggiudicatario rifiutasse in toto di assolvere questo adempimento allora è evidente che il professionista delegato dovrà necessariamente notiziare il Giudice dell’esecuzione il quale potrebbe disporre con decreto non reclamabile la revoca dell’aggiudicazione, la restituzione della cauzione e la prosecuzione della procedura con un nuovo esperimento di vendita alle medesime condizioni di quelle per cui vi è stata l’aggiudicazione poi revocata.

Al fine di non incorrere in ritardi ostruzionistici del trasferimento immobiliare, sarebbe necessario che l’aggiudicatario inadempiente venisse condannato al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita.

Il nuovo adempimento pertanto potrebbe produrre più effetti paralizzanti della procedura rispetto alle esigenze di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, che il legislatore ha dettato con la legge n. 206 del 26 novembre 2021.

Guida ai vantaggi fiscali degli investimenti in startup innovative in Italia

Una startup innovativa è un tipo di impresa caratterizzata da un’elevata componente tecnologica e da un modello di business scalabile. Si tratta di imprese emergenti che cercano di risolvere problemi o soddisfare bisogni di mercato in modo innovativo, utilizzando tecnologie avanzate o nuovi approcci attraverso l’implementazione di idee creative.

Le startup innovative spesso operano in settori ad alta tecnologia come l’informatica, l’intelligenza artificiale, la biotecnologia, la blockchain e molto altro. Sono caratterizzate da una forte propensione al rischio e all’investimento in ricerca e sviluppo per incrementare i prodotti. Inoltre, queste nuove realtà̀ mirano ad espandersi rapidamente a livello nazionale o internazionale attraverso la ricerca di finanziamenti.

Hanno un ruolo preponderante nella stimolazione dell’innovazione, nella creazione di posti di lavoro e nello sviluppo economico.

Ai sensi della normativa di riferimento (DL 179/2012, art. 25, comma 2) una startup innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, che rispetti i seguenti requisiti oggettivi:

  • è un’impresa nuova o costituita da non più di 5 anni
  • ha residenza in Italia, o in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo ma con sede produttiva o filiale in Italia
  • ha fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro
  • non è quotata in un mercato regolamentato o in una piattaforma multilaterale di negoziazione
  • non distribuisce e non ha distribuito utili
  • ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico
  • non è risultato di fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda

Infine, una startup è innovativa se rispetta almeno 1 dei seguenti 3 requisiti soggettivi:

  1. sostiene spese in R&S pari ad almeno il 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione;
  2. impiega personale altamente qualificato (almeno 1/3 dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori, oppure almeno 2/3 con laurea magistrale);
  3. è titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto o titolare di un software registrato.

Investire in essa può̀ offrire non solo l’opportunità̀ di partecipare alla rivoluzione e alla crescita di imprese promettenti, ma anche di ottenere benefici fiscali significativi. A tale proposito, il governo italiano ha introdotto una serie di incentivi fiscali per incentivare gli investimenti in startup innovative, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo dell’ecosistema imprenditoriale e la creazione di posti di lavoro nel settore delle nuove tecnologie. In questa guida, esploreremo i principali vantaggi fiscali offerti agli investitori che decidono di sostenere queste nuove imprese italiane.

  1. Incentivo fiscale in “de minimis” all’investimento in startup innovative e PMI innovative: L’incentivo prevede una detrazione IRPEF del 50% destinata alle persone fisiche che investono nel capitale di rischio di startup innovative o PMI innovative. Le agevolazioni sono concesse ai sensi del Regolamento “de minimis” (Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013).
  2. Credito d’imposta per investimenti in startup innovative: Una delle misure chiave è il credito d’imposta per gli investimenti effettuati in startup innovative. Gli investitori possono beneficiare di un credito d’imposta pari al 30% dell’importo investito, fino a un massimo di 1,8 milioni di euro all’anno. Questo significa che è possibile ottenere una riduzione significativa dell’imposta sul reddito, riducendo di fatto il rischio finanziario dell’investimento.
  3. Esenzione dall’imposta sulle plusvalenze: Nel caso in cui si realizzi un guadagno di capitale dalla vendita di quote o azioni di una startup innovativa, l’investitore può beneficiare di un esonero totale dall’imposta sulle plusvalenze. Questa esenzione rappresenta un vantaggio notevole, poiché gli investitori possono trattenere l’intero importo del guadagno senza dover pagare imposte sulle loro vincite.
  4. Deduzione delle perdite: Gli investimenti in startup innovative comportano un certo grado di rischio, ma il governo italiano ha previsto una misura per mitigare le eventuali perdite. Gli investitori possono dedurre le perdite subite dall’investimento in startup innovative dal proprio reddito complessivo, riducendo così l’imposta sul reddito. Questa possibilità di dedurre le perdite rappresenta una sicurezza finanziaria importante per gli investitori e può incentivare ulteriormente l’interesse verso le startup innovative.
  5. Agevolazioni per reinvestimento dei capitali: Per incentivare ulteriormente il reinvestimento dei capitali nelle startup innovative, il governo italiano ha introdotto una misura che consente agli investitori di beneficiare di un’agevolazione fiscale del 50% sugli utili reinvestiti. In altre parole, se si realizza un guadagno di capitale da un precedente investimento in una startup innovativa e si decide di reinvestirlo in un’altra startup, sarà possibile ridurre l’imposta sulle plusvalenze del 50% dell’importo reinvestito.
  6. Regime fiscale agevolato per le startup innovative: Le startup innovative possono beneficiare di un regime fiscale agevolato che prevede una riduzione dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società (IRES) al 15% per i primi tre anni di attività e al 20% per i successivi due anni. Questo vantaggio si traduce in una maggiore competitività per le startup e può̀ rendere gli investimenti in startup innovative ancora più interessanti per gli investitori.

Investire in startup innovative in Italia offre numerosi vantaggi fiscali che possono catalizzare più finanziatori. Dalla detrazione IRPEF del 50%  agli esoneri sulle plusvalenze, passando per le agevolazioni per il reinvestimento dei capitali e il regime fiscale agevolato per le startup, il governo italiano ha messo in atto una serie di misure per sostenere e incentivare il settore delle startup innovative. 

Crisi Impresa: L’importanza dei dati

Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza è stata rivoluzionata la concezione di crisi d’impresa, passando da un precedente sistema incardinato essenzialmente nella soddisfazione dei creditori ad un nuovo approccio che mira a salvaguardare l’attività imprenditoriale e la continuità aziendale, per permettere di restare sul mercato a tutte le aziende che ne hanno le capacità e possibilità.

La nuova disciplina pone particolare attenzione al fatto che, ogni impresa dovrebbe poter anticipare un eventuale stato di crisi e intervenire tempestivamente per il risanamento della stessa, lasciando di fatto la liquidazione giudiziale quale extrema ratio.

In nuovi obblighi normativi

L’art. 3 del d.lgs. 14/2019 (Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa) prescrive all’imprenditore individuale di adottare “misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte” e all’imprenditore collettivo di “istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.

L’art. 2086 c.c.  è stato modificato con la previsione che “l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Gli organi delegati delle società e l’imprenditore in genere, devono quindi curare l’adeguatezza degli assetti, ed in particolare, al consiglio d’amministrazione spetta il compito di valutare tale adeguatezza, mentre ai sindaci quello di vigilare sulla stessa.

Secondo il Tribunale di Cagliari nella sentenza n. 188/2021 del 19 Gennaio 2022, con la quale detta importanti linee guida per la verifica di tale inadeguatezza, l’assenza di un adeguato assetto organizzativo rappresenta una grave irregolarità che deve essere immediatamente emendata e che può condurre alla revoca dell’organo amministrativo e alla nomina di un amministratore giudiziario.

La sentenza citata è importante in quanto focalizza l’attenzione dul fatto che, essendo tali assetti funzionali a evitare che l’impresa si trovi ad affrontare una crisi , la violazione di tale obbligazione e più grave per una società in situazione di equilibrio economico finanziario, in quanto proprio in tale stato fisiologico, è necessario intervenire per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative volte a intercettare tempestivamente i segnali di crisi, consentendo di assumere le iniziative opportune.

Sarà quindi necessario che ogni realtà aziendale metta in atto una seria attività di pianificazione, programmazione e controllo di gestione, quale componente del più ampio sistema amministrativo-contabile per soddisfare tale adempimento. Tale attività è rappresentata da un insieme di strumenti, processi e ruoli, finalizzati a favorire comportamenti che siano in linea con il raggiungimento degli obiettivi aziendali, agevolando la produzione di informazioni necessarie per effettuare le scelte gestionali.

Il mero acquisto di software e gestionali, se non vengono aggiornati con l’inserimento di dati in modo tempestivo, non produce alcun effetto, né sana alcun inadempimento.

Sarà quindi necessario procedere con un’attenta analisi dell’impresa, della sua struttura in concreto e sulla base della concreta realtà della stessa intervenire sull’introduzione di adeguati assetti amministrativi contabili, tramite l’introduzione di una contabilità analitica e gestionale con previsione di budget ad hoc, produzione di situazioni economico, finanziarie e patrimoniali infrannuali, ottenute partendo dai saldi contabili opportunamente integrati con le scritture di assestamento, per consentire la valutazione dello stato di salute dell’impresa ad un determinato istante, e per permettere  la valutazione della continuità aziendale.

Il fulcro di tale attività ovviamente risiede nei dati: la raccolta e la disponibilità di dati aggiornati, sia contabili che extracontabili, e la loro messa a disposizione di un “interprete” in modo tempestivo, che possa eseguire le valutazioni utili, è la vera forza di un’impresa sana.

E’ evidente quindi che anche il tema della crisi d’impresa si inserisce nella c.d. compliance integrata necessaria per la fruttuosa attività di ogni realtà aziendale.

La compliance integrata è infatti l’insieme regole e procedure e strutture organizzative volto a garantire una conduzione dell’impresa sana corretta e coerente con gli obiettivi.

Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, il Modello organizzativo e di Gestione ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001, la normativa sul trattamento dei dati personali (la c.d. privacy) e la normativa in matria di antiriciclaggio, ad esempio, sono tutte discipline pensate nell’ottica della prevenzione che non devono solo “convivere”, ma “parlare la stessa lingua”.

La corretta raccolta di dati e la loro corretta gestione pertanto è essenziale per ogni impresa.

Scaricare modelli prestampati dal web o acquistare software gestionali che non siano curati da nessuno all’interno dell’azienda, non proverà di possedere adeguati assetti organizzativi e potrebbe portare a condanne, anche pesanti, per responsabilità personali dell’imprenditore e degli amministratori, e ovviamente non impedirà l’emersione di un’eventuale crisi.

Se per le grandi aziende tale attività è economicamente sostenibile, per le piccole imprese o per l’imprenditore individuale tale sfida si rivela ardua, in quanto tale adeguamento potrebbe costare in termini economici esborsi tali da vanificare lo sforzo (e paradossalmente innescare una crisi).

Per le piccole realtà sarà quindi necessario educare l’imprenditore creando misure ad hoc con le risorse disponibili.

Può il ricorso all’intelligenza artificiale sopperire alle scarsità finanziaria di piccole imprese? E’ possibile immaginare una semplificazione della compliance integrata grazie alla tecnologia blockchain?

Quel che è certo, per il momento, è che il legislatore non tiene il passo dello sviluppo tecnologico e che il raccordo tra le diverse discipline è opera demandata sempre di più agli interpreti e ai giuristi, che devono affiancare l’imprenditore in ogni passo.

Aspetti legali dei Contratti Digitali, l’E-commerce (Parte Seconda)

La settimana scorsa abbiamo avuto modo di inquadrare brevemente il fenomeno dell’eCommerce e abbiamo approfondito dove, come e quando si ritiene concluso un contratto digitale.

Fra i problemi giuridici affrontati la settimana scorsa in relazione ai contratti digitali è stato volutamente escluso un problema discretamente complesso per cui si è resa necessaria una trattazione separata, parliamo di quale legge sia applicabile ai contratti digitali.

QUAL È LA LEGGE APPLICABILE AI CONTRATTI DIGITALI?

In tema di eCommerce è necessario a tal proposito fare riferimento ad una pluralità di fonti normative, tra le quali la Convenzione di Roma e il Regolamento Roma I.

La Convenzione di Roma del 1980 inerente la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali è una convenzione di diritto internazionale privato entrata in vigore in Italia l’1 aprile 1991, a seguito di ratifica intervenuta con Legge n. 975 del 18 dicembre 1984.

Essa è in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europea ma ha carattere universale, in quanto trova applicazione anche quando la legge alla quale i suoi principi rinviano non sia la legge di uno Stato contraente.

Negli anni, alla ratifica della Convenzione è succeduta l’adozione del Regolamento (CE) n. 593/2008, conosciuto come “Regolamento Roma I” il quale ha prodotto l’effetto, all’interno dell’Unione Europea, della disapplicazione della Convenzione ai contratti stipulati a partire dal 17 dicembre 2009.

LA CONVENZIONE DI ROMA E I CONTRATTI DI DIGITALI

Assumendo che i rapporti di eCommerce dei quali parliamo siano caratterizzati da una componente internazionale dei soggetti coinvolti, ai fini dell’individuazione della legge applicabile ai contratti internazionali la Convenzione indica tre criteri:

  1. l’autonomia delle parti;
  2. quello di prossimità,
  3. quello di conservazione

Il criterio principale, l’autonomia delle parti

Il principale criterio di collegamento fissato dalla Convenzione è certamente quello della volontà delle parti (1). L’autonomia delle parti nello scegliere qual è la legge applicabile al contratto (“choice of law”) è un principio assoluto che può legittimare anche il ricorso a sistemi normativi che non hanno alcun collegamento con gli elementi essenziali del contratto o all’applicazione di diversi sistemi normativi a parti diverse del contratto (“depecage”).

La “choice of law” è considerata un negozio giuridico e può essere sia espressamente deliberata che tacitamente individuata attraverso l’interpretazione del contenuto del contratto o dalle circostanze che ne hanno accompagnato la stipula. Tale scelta è sempre modificabile tramite accordo delle parti ma la modifica non produrrà effetti in relazione alla possibile sopraggiunta invalidità del contratto o in relazione a possibili pregiudizi a diritti acquisiti di terze parti.

Molto rilevante ai fini dell’applicazione della convenzione all’eCommerce è la disciplina in relazione ai contratti conclusi con consumatori (2) i quali non possono essere privati della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative della legge del paese nel quale risiede abitualmente.

Nello specifico:

  • se la conclusione del contratto è stata preceduta nel paese di residenza abituale del consumatore da una proposta specifica o da una pubblicità e se il consumatore ha compiuto nello stesso paese gli atti necessari per la conclusione del contratto, oppure
  • se l’altra parte o il suo rappresentante ha ricevuto l’ordine del consumatore nel paese di residenza, oppure
  • se il contratto rappresenta una vendita di merci e se il consumatore si è recato dal paese di residenza in un paese straniero e vi ha stipulato l’ordine, a condizione che il viaggio sia stato organizzato dal venditore per incitare il consumatore a concludere una vendita;

si applicherà legge del paese nel quale il consumatore ha la sua residenza abituale.

Tale norma non trova applicazione nel caso di contratti di trasporto e contratti di fornitura di servizi quando i servizi dovuti al consumatore devono essere forniti esclusivamente in un paese diverso da quello in cui egli risiede abitualmente, salvo che si tratti di contratti che prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale.

I criteri residuali

Nella misura in cui la legge che regola il contratto non sia stata scelta, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto. Tuttavia, qualora una parte del contratto sia separabile dal resto e presenti un collegamento più stretto con un altro paese, a tale parte del contratto potrà applicarsi, in via eccezionale, la legge di quest’altro paese.

A tal proposito, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione che caratterizza il contratto ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale. Nei contratti che presentano prestazioni corrispettive si esclude la natura caratterizzante delle prestazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme di danaro.

Inoltre, quando il contratto ha per oggetto un diritto reale su un bene immobile o il diritto di utilizzazione di un bene immobile, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese in cui l’immobile è situato e, per il contratto di trasporto di merci, si presume che il collegamento più stretto sia con il paese in cui il vettore ha la sua sede principale al momento della conclusione del contratto, se il detto paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o di scarico o la sede principale del mittente.

In base al criterio della conservazione, il contratto va considerato pienamente valido, qualora soddisfi i requisiti di forma richiesti dalla legge che ne regola la sostanza o, alternativamente, dalla legge del luogo in cui è stato concluso.

I CONTRATTI DIGITALI SECONDO IL REGOLAMENTO (CE) N. 593/2008

Come precedentemente specificato, il “Regolamento Roma I” ha prodotto l’effetto, all’interno dell’Unione Europea, della disapplicazione della Convenzione ai contratti stipulati a partire dal 17 dicembre 2009.

Seppur ribadendo la centralità e priorità della scelta delle parti in merito alla legge applicabile (3), il Regolamento ha determinato la natura meramente residuale del criterio che impone il riferimento alla legge del paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto, fissando criteri specifici per le varie tipologie contrattuali individuate. Per cui:

  • il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;
  • il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale;
  • il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato;
  • tuttavia, la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese;
  • il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale;
  • il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale;
  • il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo;
  • il contratto concluso in un sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, quali è disciplinato dalla direttiva 2004/39/CE (4).

Regole molto particolari vengono dettate per i contratti di trasporto poiché le parti possono scegliere come legge applicabile al contratto di trasporto di passeggeri solo la legge del paese in cui: a) il passeggero ha la residenza abituale; b) o il vettore ha la residenza abituale; c) o il vettore ha la sua amministrazione centrale; d) o è situato il luogo di partenza; e) o è situato il luogo di destinazione.

Inoltre, nella misura in cui la legge applicabile al contratto di trasporto non sia stata scelta:

  • la legge applicabile al contratto di trasporto di merci è quella del paese di residenza abituale del vettore, a condizione che il luogo di ricezione o di consegna o la residenza abituale del mittente siano anch’essi situati in tale paese;
  • la legge applicabile a un contratto di trasporto di passeggeri è quella del paese di residenza abituale del passeggero, purché il luogo di partenza o di destinazione sia situato in tale paese.

In ogni caso, se tali condizioni non sono soddisfatte, si applica la legge del paese in cui il vettore ha la residenza abituale.


Note:

  1. Art. 3, Legge 18/12/1984 n° 975
  2.  Art. 5, Legge, 18/12/1984 n° 975
  3.  Art. 3, Regolamento (CE) n. 593/2008
  4. Art. 4, Regolamento (CE) n. 593/2008

Aspetti legali dei Contratti Digitali, l’E-commerce (Parte Prima)

ECOMMERCE, UNA BREVE INTRODUZIONE

L’eCommerce non ha certo bisogno di presentazioni in virtù della sua sempre crescente diffusione; nel 2022 l’eCommerce di prodotto ha continuato la propria corsa, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto a quanto visto nel 2021 (+18% sul 2020), toccando i 33,2 miliardi di euro. Gli acquisti online di servizi, invece, portano a termine il proprio percorso di ripresa (+59%) e raggiungono quota 14,9 miliardi di euro (1).

Già dalla comunicazione del 15 aprile 1997 la Commissione Europea ne aveva capito la portata e aveva anticipato i tempi tentandone un inquadramento statuendo che “il commercio elettronico ha come oggetto lo svolgimento degli affari per via elettronica. Esso si basa sull’elaborazione e la trasmissione elettronica delle informazioni, incluso testi, suoni e video-immagini. Il commercio elettronico comprende molte attività diverse, quali la compravendita di beni e servizi per via elettronica, la distribuzione in linea di contenuti digitali, il trasferimento elettronico di fondi, le contrattazioni elettroniche di borsa, le polizze di carico elettroniche, le gare di appalto e le vendite all’asta, il design e la progettazione in collaborazione, la selezione in linea dei fornitori, il marketing diretto dei beni e servizi per il consumatore, nonché l’assistenza post-vendita”. (2)

La vera portata innovativa dell’eCommerce è data dalla sua tecnologia abilitante, il web, nato con l’obiettivo di abbattere le barriere fra le persone. Fra le barriere che il web ha avuto il merito di abbattere ci sono sicuramente quelle legate alla nazionalità della clientela per le attività commerciali; attraverso l’eCommerce è possibile ampliare esponenzialmente il potenziale pubblico di acquirenti continuando a lavorare dalla propria scrivania.

ECOMMERCE, INQUADRAMENTO LEGALE

Già da molto tempo è risultato evidente che questa nuova tecnologia e il conseguente fenomeno dell’eCommerce necessitavano di nuove regole che potessero adattarsi meglio alla dematerializzazione del commercio, il quale sta (più o meno velocemente) traslando da spazi fisici a spazi virtuali.

Da un punto di vista puramente giuridico, la dematerializzazione degli spazi commerciali è rilevante per diversi profili contrattuali, tra i quali:

  • formazione del consenso (es. acquisizione consenso totalmente automatizzata tramite form);
  • esecuzione del contratto (es. acquisto di software informatici tramite download);
  • modalità di pagamento del prezzo (es. pagamento mediante connessione al proprio account di servizi di pagamento terzi. Inserimento di dati identificativi di una carta di debito/credito).

Questi nuovi paradigmi hanno reso necessario l’interpretazione giuridica del fenomeno dell’eCommerce per tentare l’adattamento di concetti tipici del diritto civile in materia di contrattualistica

DOVE, COME E QUANDO SI RITIENE CONCLUSO UN CONTRATTO DIGITALE?

Assumendo che un contratto sia concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte; che l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito e che qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa (3); comprendiamo subito che l’applicazione di questi principi necessita di alcune differenziazioni.

La prima grande differenza è relativa alla modalità con la quale le parti decidono di stipulare il contratto, distinguendola in

  1. vendita via eMail;
  2. vendita via eShop (portale di eCommerce).

Nel primo caso si ritiene applicabile lo schema tipico della presunzione di conoscenza per la quale la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona per i fini di cui sopra, si reputano conosciute dalla stessa nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di essere stato incolpevolmente impossibilitato ad averne notizia. Dall’applicazione di questo principio, pertanto, è risultata evidente l’estrema utilità della PEC (posta elettronica certificata), il cui utilizzo, da anni, ha trovato spazio all’interno della legislazione di diversi Stati (4).

Nel secondo caso, invece, possiamo ritenere applicabile lo schema tipico dell’offerta al pubblico la quale, qualora contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta contrattuale, salvo che risulti diversamente dalle circostanze del caso specifico o dagli usi commerciali. Secondo tale schema la revoca dell’offerta, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equivalente, è efficace nei confronti di tutti, anche nei confronti di coloro che non ne avevano avuto notizia (5).

In relazione al luogo di conclusione dei contratti di eCommerce, la dematerializzazione che caratterizza questa tipologia peculiare di contratti produce notevoli difficoltà interpretative, tanto che non esiste un’unica tesi in merito

Secondo una prima tesi, il contratto si concluderebbe nel luogo in cui il proponente ha scaricato la posta elettronica contenente l’accettazione ma, tale tesi è fortemente criticata perché generebbe più dubbi che certezze in relazione all’estrema portabilità degli strumenti attraverso i quali è possibile lo scambio di eMail.

Dalla critica alla precedente tesi, per assecondare regioni di certezza del diritto è stata avanzata una seconda tesi secondo la quale il luogo di conclusione del contratto deve essere identificato nel luogo dove è collocato il service provider contenente la casella postale del proponente. Tuttavia, anche questa tesi non produce risultati che siano considerabili risolutivi poiché, sempre in virtù della dematerializzazione del mezzo in parola e dell’estrema portabilità dei dati che connota il web, è ben possibile che la “regione” dove sia “ospitato” il servizio non sia facilmente identificabile.

Per queste ragioni si è fatta spazio una terza tesi che risolverebbe il problema del luogo della conclusione del contratto di eCommerce slegandosi dalla relazione con il mezzo utilizzato per la sua conclusione per far riferimento a parametri la cui certezza è decisamente solida. Secondo tale tesi, il luogo di conclusione del contratto andrebbe ravvisato nel luogo ove ha sede l’impresa o viene svolta l’attività professionale del destinatario dell’accettazione, indipendentemente dal luogo ove si trova il computer o il sito utilizzato.

RINVIO

In questa prima parte abbiamo avuto modo di inquadrare brevemente il fenomeno dell’eCommerce e abbiamo approfondito dove, come e quando si ritiene concluso un contratto digitale. Nell’approfondimento della prossima settimana riprenderemo l’analisi degli aspetti legali dei contratti digitali approfondendo quale sia la legge applicabile ai contratti digitali cercando di fornire tutte le coordinate necessarie per orientarsi in questa dimensione.


Note:

  1. https://www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/ecommerce-acquisti-online-crescita
  2.  Comunicato comunitario (Unione europea) 16-04-1997, n. COM(97)157
  3.  Art. 1326 C.C.
  4.  Art. 1335 C.C.
  5.  Art. 1336 C.C.

Il regime fiscale dell’Affiliate marketing

L’affiliate marketing è un modello di business secondo cui un’azienda paga una commissione a un affiliato per ogni vendita o azione generata tramite il traffico inviato dal sito web o dal canale di marketing dell’affiliato stesso. Ad essere più chiari accade questo: l’affiliato promuove i prodotti o i servizi dell’azienda attraverso il proprio sito web o tramite altri canali: social media, email marketing o pubblicità online. Se un utente fa clic sul link dell’affiliato ed effettua un acquisto o compie un’azione specifica come la registrazione, l’affiliato riceve una commissione sulla vendita o sull’azione compiuta. L’affiliate marketing è ,quindi, una strategia aziendale di promozione ad ampio raggio grazie anche alla collaborazione con siti web o influencer e, allo stesso tempo, rappresenta un’opportunità di guadagno per i  partners affiliati.

Come dichiararlo

Regime forfettario/semplificato

Se sei un affiliato ed hai avuto accesso al regime forfettario, la tua tassazione sarà semplificata rispetto ad altre forme di tassazione. Il regime forfettario, infatti, prevede che il reddito imponibile venga calcolato in base ad una percentuale forfettaria sul fatturato, senza la necessità di presentare una contabilità ordinaria.

Per quanto riguarda l’affiliate marketing, il reddito da dichiarare sarà costituito dalle provvigioni percepite dagli affiliati. Tali provvigioni saranno soggette all’aliquota forfettaria del 5 % o 15% prevista dal regime suddetto.

Per quanto riguarda la compilazione della dichiarazione dei redditi, dovrai indicare, nella sezione dedicata ai redditi di lavoro autonomo, la natura del reddito e il totale delle provvigioni percepite. Inoltre, dovrai compilare il quadro RS, che contiene le informazioni relative al regime fiscale adottato e al reddito da dichiarare.

In sintesi, se sei un affiliato e sei iscritto al regime forfettario, la tua tassazione sarà semplificata e il reddito da dichiarare sarà costituito dalle provvigioni percepite e soggette all’aliquota forfettaria del 5% o 15%. È importante tenere presente che, secondo la normativa, in questo status non è possibile detrarre le spese sostenute per l’attività di affiliate marketing, ma il regime offre alcuni vantaggi fiscali e la possibilità di usufruire di agevolazioni.

Ditta individuale o società di persone

La ditta individuale e le società di persone sono ulteriori regimi giuridici che si possono scegliere, anche se diversi. Infatti nel primo caso la Partita IVA è individuale, mentre nel secondo ci può  essere la presenza di uno o più soci.

In termini di tassazione i due regimi sono invece uguali e parliamo di una tassazione a scaglioni IRPEF : all’aumentare, quindi, del reddito aumenta anche l’importo da pagare come tasse. Ci sono quattro percentuali diverse che si applicano: 23%, 25%, 35% e 43%.

La prima percentuale è applicata ai redditi inferiori a 15.000€, la seconda per redditi da 15.001€ a 28.000€, la terza da 28.001€ a 50.000€ e la quarta per importi superiori a 50.001€. Tuttavia, essendo una tassazione a scaglioni, nel caso di reddito pari a 30.000€, sarà calcolato il 15% su 15.000€ e il 25% sui restanti 15.000€.

La ditta individuale e le società di persona permettono pertanto di calcolare le tasse su un margine reale; per questo motivo l’importo da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra ricavi e costi.

Ricorda ,inoltre, che dovrai tenere sotto controllo le spese sostenute per l’attività di affiliate marketing per poter detrarre le spese sostenute dal reddito imponibile e ridurre l’imposta da pagare.

Società di capitali

Se possiedi una società di capitali e svolgi l’attività di affiliate marketing, il regime fiscale applicabile dipenderà dalla forma giuridica della società.

Se la società è una Srl (Società a responsabilità limitata) o una SpA (Società per azioni), il reddito generato dall’affiliate marketing sarà soggetto all’imposta sul reddito delle società (IRES), che attualmente ha un’aliquota del 24%.

La società dovrà presentare la dichiarazione dei redditi per le società (modello UNICO SC), che contiene tutte le informazioni relative al reddito generato dall’affiliate marketing, alle spese sostenute e ai crediti d’imposta applicabili. Inoltre, la società dovrà presentare la dichiarazione IVA relativa alle operazioni di affiliate marketing svolte.

È importante tenere presente che le società di capitali possono detrarre le spese sostenute per l’attività di affiliate marketing dal reddito imponibile. Tali spese includono, ad esempio, i costi pubblicitari, le spese di gestione del sito web e le provvigioni pagate agli affiliati. Tuttavia, le spese detraibili sono soggette a limitazioni e restrizioni e devono essere documentate in modo preciso.

Inoltre, se la società effettua transazioni con affiliati situati all’estero, potrebbe essere soggetta alle norme di transfer pricing e alle regole sulla tassazione delle transazioni transfrontaliere.

Tassazione Crypto: differenze tra ieri ed oggi

Fino ad oggi le criptovalute venivano intese ai fini fiscali come “valute estere”, quindi la norma era quella di pagare l’imposta sostitutiva del 26% sulla plusvalenza solo per coloro che detenevano per più di sette giorni lavorativi 51.000 € sui propri wallet. Chi, invece, si trovava al di sotto di questa soglia non risultava essere soggetto a tassazione. Ora, con la nuova norma introdotta dalla legge di bilancio, le criptovalute non sono più viste ai fini fiscali come “attività estere”, bensì, come “cripto attività”, conservando il regime di tassazione che si applica a quelle che vengono chiamate attività finanziarie.

Il fisco, in seguito alla nuova norma, è stato molto chiaro: lo scambio di cripto attività tra di loro (cripto to cripto) non sono tassate, ma applica l’imposta sostitutiva del 26% su quelle plusvalenze realizzate, quindi derivanti da una vendita, se la suddetta supera la nuova soglia dei 2.000 €. Il termine plusvalenza è un termine che tra noi cripto investitori sta creando un po’ di confusione e necessita di ordine: la plusvalenza viene calcolata dall’aggregato di tutte le transazioni fatte anche in exchange diversi e, dal 2023, anche dai proventi provenienti da altre attività (come lo staking di NFT, farming, ecc.). Inoltre, rispetto alla vecchia normativa viene introdotta un’imposta di bollo dello 0,2 % all’ anno a tutti i detentori di cripto.

Cosa vuol dire cashout?

Cashout vuol dire incassare, quindi nel momento in cui andiamo ad incassare euro nel nostro conto, andremo a pagare l’ imposta; ma c’è una novità: se negli exchange dove deteniamo cripto ad un certo punto li convertiamo in FIAT ( Euro ) andremo a pagare l’ imposta anche in questo caso. 

Come faccio a ridurre il rischio della volatilità cripto e non andare a pagare l’imposta?

La soluzione più semplice ed efficace per non convertire subito cripto in FIAT ed andare a pagare l’imposta è rimanere nelle cripto attività e, quindi, convertire i token in stable coin, ossia coin che hanno come controvalore il dollaro. Così facendo, inoltre, si attenua il rischio della elevata volatilità dalla quale è caratterizzato il mercato delle cripto attività.

Dichiarazione dei redditi 2022 in confronto a quella che verrà.

Come ho detto prima, le cripto venivano considerate come valute estere e quindi bisognava andare a compilare il quadro RW dei redditi PF, essendo obbligatorio il monitoraggio. In caso contrario, doveva essere compilato il quadro RT se si andava a fare cashout e pagare l’ imposta del 26%. Con la nuova norma resta invariata la compilazione del quadro RW per l’obbligo di monitoraggio, ma viene modificato il ruolo degli intermediari. Se deteniamo cripto tramite exchange italiani, sarà loro compito adempiere gli obblighi di monitoraggio in confronto col fisco, ma se abbiamo cripto in exchange esteri oppure nei wallet DEFI, Ledger, ecc. dobbiamo compilare il quadro RW.

Gli NFT vengono considerati cripto attività?

Sì, vengono considerati cripto attività e appartengono alla categoria di cui abbiamo parlato. Poniamo l’attenzione sul fatto che siano dei cripto asset, ma diversi dalle criptovalute. Facciamo un esempio pratico: se con Ethereum compriamo un NFT e poi,  successivamente, lo vendiamo e riceviamo Ethereum, risulta come se avessimo effettuato una plusvalenza oppure minusvalenza, quindi saranno tassabili con l’ imposta al 26%.

Esiste una norma per regolarizzare chi non ha mai dichiarato?

Si, in realtà una norma già esiste nel nostro sistema e si chiama ravvedimento operoso; consiste nel pagare lo 0,5% all’ anno dell’importo indicato già nel quadro RW, a cui si aggiungono le eventuali imposte sulle plusvalenze. Se invece si dovesse seguire la nuova norma, basterebbe pagare sempre lo 0,5% all’ anno dell’importo specificato nel quadro RW ed aggiungere il 3,5% del valore segnalato nel quadro RW qualora fossero presenti altri redditi. Infine, si potrebbe usufruire anche del processo della rivalutazione che proverò a spiegare con un esempio: se in passato ho comprato Bitcoin a 5.000 € ed oggi ne vale 20.000 €, è possibile applicare la rivalutazione pagando il 14% della differenza tra 5.000 e 20.000. In questo modo la nostra posizione fiscale risulterà in regola. Concludendo, quindi, le plusvalenze o minusvalenze si iniziano a calcolare dai 20.000 € e non da 5.000 € che sarebbe il nostro prezzo d’acquisto.

Bandi pubblici e gare d’appalto in Italia: come orientarsi?

Se quando iniziai a collaborare con le Pubbliche Amministrazioni fosse arrivato qualcuno con una guida essenziale su come muoversi in materia di bandi pubblici e gare di appalto ne sarei stata entusiasta. Con questo non voglio certo promuovere uno strumento di lavoro completo (per quello ci sono dei signori manuali ai quali dedicare il tempo che a loro spetta), bensì tracciare una road map per chi si approccia al complesso mondo del mercato pubblico.

Il MEPA

Partendo dal presupposto che lo scopo di una P.A. è quello di perseguire interessi di pubblico rilievo, si può ben comprendere come il mercato al quale la stessa si rivolge debba essere trasparente e strettamente regolamentato, in modo da permettere, a chiunque ne abbia interesse, di collaborare secondo i principi di concorrenza paritaria e non discriminazione. È da questa consapevolezza che nasce MEPA (Mercato Elettronico per le Pubbliche Amministrazioni), il mercato digitale in cui la domanda delle P.A. e l’offerta delle imprese abilitate si incontrano, il tutto sotto la supervisione della Consip che gestisce gli scambi all’interno della piattaforma per conto del Mistero dell’Economia e delle Finanze. Come per tutte le compravendite, ovviamente, le regole che le disciplinano sono state differenziate dal legislatore in base al valore dei beni oggetto di contrattazione, ed è per questo che sono state previste alcune suddivisioni di matrice puramente economica.

Gli affidamenti diretti

Partiamo dalla prima settorializzazione, la più semplice, quella con i minori obblighi, che permette alle parti di avere una certa discrezionalità a vantaggio di una maggior leggerezza burocratica che si traduce in maggior efficienza: per gli acquisti inferiori o uguali a 5.000,00 euro non vige l’obbligo di acquisto tramite il sistema elettronico. Questo, tradotto in termini ancor più pratici, significa che non saranno necessari bandi di gara o indagini di mercato per individuare il fornitore “giusto” . Primo elemento da chiarire: 5.000,00 al netto di IVA o no? Il valore di riferimento è da computare senza IVA che si aggiungerà, dunque, all’importo impegnato solo in fase successiva.

La procedura semplificata per gli affidamenti diretti

Detto questo il RUP o il Dirigente che si accinge ad effettuare un acquisto entro la soglia indicata, potrà rivolgersi al fornitore che ritiene opportuno osservando solo il principio di rotazione per la fascia compresa tra i 1.000,00 ed i 5.000,00, mentre, se inferiore al limite minore, può derogare anche a tale principio offrendo in comunicazione solo una  sintetica motivazione. Da parte sua il fornitore potrà “aggiudicarsi” il contratto sottoscrivendo un’autodichiarazione con la quale attesta che come operatore economico è integerrimo ed affidabile (non ha riportato condanne penali, è in regola con il pagamento delle tasse e dei contributi, non ha commesso di infrazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed altre prescrizioni ex art. 80 del Codice degli Appalti Pubblici ). 

Il nostro Dirigente, a questo punto, dovrà solo assicurarsi di consultare il casellario ANAC, di verificare la sussistenza del Durc al momento della sottoscrizione, nonché di verificare le condizioni soggettive o di idoneità a contrarre con le P.A.. I controlli di cui all’ art. 71 DPR 445/2000, relativi alla sussistenza dei requisiti dichiarati nelle autocertificazioni, sono obbligatori per le P.A. ma effettuabili anche con modalità a campione, sempre in misura proporzionale al rischio e all’entità del beneficio.

Evase le verifiche con esito positivo, le parti potranno provvedere alla redazione del contratto in forma semplificata,  anche “mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere o tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi” ex art. 32 comma 14 CAP. L’unico obbligo prescritto consiste nell’inserimento, all’interno del contratto, delle clausole di risoluzione in caso di inesistenza dei requisiti dichiarati, alle quali si può aggiungere la previsione di una trattenuta della cauzione o l’applicazione di una penale in misura non inferiore al 10% del valore del contratto. 

Conclusioni

In conclusione vorrei condividere solo un mio personale consiglio volto alla massima tutela delle posizioni dirigenziali che devono sottoscrivere contratti pubblici: per ogni acquisto sotto la soglia oggetto di questo articolo, è raccomandabile, comunque, la formazione di piccoli fascicoli all’interno dei quali vengono inseriti alcuni preventivi (ergo vengono effettuate delle indagini di mercato) per comprendere se il prezzo richiesto dal fornitore di volta in volta individuato è in linea con i costi del settore. 

Fortemente sconsigliabile, invece, il frazionamento di incarichi palesemente unici per rimanere nella fascia descritta svincolati dall’obbligatorietà del bando. 

Questa costituisce la cristallizzazione dei punti essenziali della prima fascia di acquisto/vendita di beni e servizi  in ambito pubblico; in virtù dell’esiguità del valore questa è stata concepita, come già sottolineato, in maniera molto lineare e semplificata. Nel prossimo articolo si potrà già vedere come si articolano maggiormente i passaggi andando a relazionarsi con il MEPA, sia per la gestione pratica del portale, sia per le diverse esigenze tecniche e normative che si devono conoscere.

Legge annuale per il mercato e la concorrenza

Alcune novità in materia di semplificazione dei regimi amministrativi per le imprese.

La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (n. 118/2022) è entrata in vigore lo scorso 27 agosto. Il provvedimento oltre ad essere emanato in ottemperanza dell’art. 117, comma II, lett. e) della Costituzione, risulta tra gli obbiettivi ricompresi nel PNRR, che considera la tutela e la promozione della concorrenza come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica, rimuovere gli ostacoli regolatori di carattere normativo o amministrativo, nonché garantire la tutela dei consumatori.

Diversi risultano gli interventi normativi, tra i quali l’ampliamento dei poteri in materia di attività antitrust, in particolare relativamente alle capacità d’indagine dell’AGCM, al contrasto all’abuso di dipendenza economica con riferimento al settore digitale, allo strumento di transazione (c.d. settlement) per la chiusura di procedimenti istruttori in materia di intese e abuso di posizione dominante. Oltre a questi la Legge reca, in particolare, alcune disposizioni volte a semplificare l’attività amministrativa delle singole imprese.

A tal riguardo, l’art. 26 delega il Governo ad adottare decreti legislativi (entro 24 mesi) al fine di individuare nuovi regimi amministrativi delle attività private, nonché semplificare e reingegnerizzare digitalmente le relative procedure amministrative. L’obiettivo risulta essere quello di individuare e tipizzare le attività private soggette a regimi diversi per eliminare gli adempimenti amministrativi non necessari nel rispetto dei principi del diritto dell’UE relativi all’accesso alle attività di servizi e in modo da ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese. Per l’attuazione di tale attività semplificativa la disposizione normativa individua alcuni criteri e principi direttivi, tra i quali la possibilità di delegare una persona fisica o un libero professionista a provvedere agli adempimenti presso la pubblica amministrazione, nonchè ridurre i tempi dei procedimenti autorizzatori per l’avvio dell’attività d’impresa.

L’articolo 29 dispone in merito alla disciplina della comunicazione unica per la nascita dell’impresa, riducendo da sette a quattro giorni il termine entro cui le amministrazioni competenti comunicano, per via telematica, all’interessato e all’ufficio del registro delle imprese gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.

Dott. Jacopo Maria Orsi

 

 

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1 L’AGCM puo’ in ogni momento richiedere a imprese e a enti che ne siano in possesso di fornire informazioni e di esibire documenti utili (anche al di fuori di procedimenti istruttori). Tali richieste devono indicare le basi giuridiche su cui sono fondate, devono essere proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere un’infrazione (art. 35 L. n. 118/2022).

2 Al fine di contrastare gli abusi di dipendenza economica nel settore, viene introdotta una presunzione relativa di dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o disponibilita’ dei dati (art. 33 L. n. 118/2022).

3 Strumento che consente alle imprese sottoposte a istruttorie in materia di intesa e abuso di posizione dominante di chiudere il procedimento con una transazione, ottenendo una riduzione dell’ammenda in cambio del riconoscimento di partecipazione all’illecito. L’Autorità può decidere in qualsiasi momento di cessare completamente le discussioni in vista di una transazione, qualora ritenga che ne sia comunque compromessa l’efficacia. (art. 34 L. n.18/2022).

4 La comunicazione unica è una pratica informatica che semplifica il rapporto tra imprese e P.A. Rivolgendosi ad un solo polo telematico (il Registro delle Imprese) con un’unica procedura l’interessato può assolvere gli adempimenti nei confronti delle Camere di Commercio, dell’Agenzia delle Entrate, dell’INAIL e dell’INPS.